Ambrogini. Cesana: educare alla speranza, la sfida che ci lascia “il Gius”
«Questa medaglia che il Comune di Milano ha assegnato alla memoria di don Luigi Giussani, nel centenario della sua nascita, credo sia il riconoscimento del valore civile della fede cristiana. La fede in quel Gesù che è venuto nel mondo per insegnare all’uomo la strada per la felicità e il compimento della vita. Una fede che, insegna san Giacomo, è morta senza le opere. Una fede che proprio grazie alle opere – dunque, grazie all’impegno nella trasformazione della società nei campi più svariati, dall’educazione alla cultura al lavoro, come hanno fatto e fanno tante persone di Comunione e Liberazione – diventa contributo per un’umanità più vera, diventa grande fattore di amicizia fra gli uomini ». Così Giancarlo Cesana commenta l’assegnazione della “Grande medaglia d’oro alla memoria” al fondatore di Cl, avvenuta ieri.
Una “avventura” dal respiro globale, quella di Cl, con la sua attitudine a rivolgersi a ogni uomo e a tutto l’uomo. Ma le sue radici, come quelle di don Giussani, sono e restano profondamente milanesi e ambrosiane, sottolinea Cesana, «professore onorario di Salute pubblica all’Università di Milano Bicocca – dice, presentandosi –. Il mio impegno in Cl inizia nel 1971, e dalla metà degli anni ‘70 la collaborazione stretta, quotidiana, con don Giussani». La Chiesa di Milano, «Chiesa di popolo, e le terre ambrosiane, come la Brianza, con la loro tradizione cattolica, hanno inciso profondamente nella formazione di don Giussani». Una realtà che però, negli anni ‘50 e ‘60, quelli della ricostruzione e del boom, entra in crisi. «Don Giussani si era reso conto come a Milano ci fosse un popolo cattolico ancora consistente per numero e pratica religiosa, ma con una coscienza sempre più debole. Decise di lasciare l’insegnamento al seminario di Venegono per il liceo Berchet dopo aver incontrato un gruppo di ragazzi e aver scoperto la loro ignoranza sulla natura della Chiesa e dell’esperienza cristiana.
Capì, prima d’altri, che Milano era terra di missione. E vi si dedicò». La sua “frontiera”: i giovani e l’educazione. «Mentre tanti ritenevano che la fede cristiana fosse negazione della ragione e della libertà, don Giussani seppe proporre Cristo e la Chiesa interpellando proprio la ragione e la libertà», scandisce Cesana, mentre racconta di essere approdato a Cl dopo l’esperienza con i “Cristiani per il socialismo”. Nella Milano del ‘68 e degli anni ‘70 molti erano i giovani assetati di giustizia e verità, «ma per tanti la risposta fu quella delle ideologie, nessuna delle quali ha saputo offrire valori e risposte alternative di pari forza al cristianesimo. Negli anni ‘70 il nostro impegno nelle università era contestato e contrastato con una durezza oggi inimmaginabile da extraparlamentari e altri. Ma furono anni molto formativi. Nella Milano d’allora la fede cristiana era contestata, mentre oggi rischia l’indifferenza. Ma questo non mi scandalizza: l’indifferenza d’oggi era contenuta in nuce nel vuoto delle ideologie di allora, che don Giussani aveva già avvertito quando elesse Milano sua terra di missione. E non solo nelle scuole e nelle università, ma anche nel mondo del lavoro, che era un po’ meno ideologizzato.
Don Giussani ci insegnò ad abitare quella Milano in tumultuoso cambiamento con la formazione di una coscienza libera e appassionata all’umano, e con la scoperta e la testimonianza del valore umano della tradizione cristiana». Cl, nella fedeltà al carisma di Giussani «è stata ed è realtà generativa di socialità, a Milano e non solo, come dimostrano il Movimento popolare, la Compagnia delle Opere, il Meeting, il Banco Alimentare, ma anche le molte scuole, cooperative, associazioni, imprese, nate dall’iniziativa di membri di Cl». Se oggi don Giussani tornasse a Milano, da dove inizierebbe a rimboccarsi le maniche? «Come allora – risponde Cesana – dai giovani e dall’educazione. La sfida – come conferma l’attuale inverno demografico – è educare alla speranza. Vale a scuola come nel mondo del lavoro, come nelle nostre periferie. Cambiare situazioni di emarginazione è difficile. Ma – insegna la “caritativa”, una pratica fondamentale di Comunione e Liberazione – stare con i poveri, andare nei loro quartieri, entrare nella loro vita, comporta anzitutto cambiare noi stessi e condividere il bisogno degli altri per condividere il loro destino».