Milano. Il dg del Policlinico: «Cervelli di ritorno, IA, ricerca: così sfido i privati»
Il rendering del nuovo Policlinico di Milano
Matteo Stocco ha appena dismesso caschetto e scarpe antinfortunistiche. Ha compiuto la sua visita settimanale nel cantiere della più grande opera architettonica degli ultimi 90 anni nel centro di Milano: il nuovo Policlinico. «Stiamo limando alcune fisiologiche criticità con le imprese di costruzione», dice il direttore generale mentre entra nel suo elegante ufficio ospitato in uno degli storici palazzi nella via intitolata a Francesco Sforza, il duca che fondò l’ospedale nel 1456. Su un aspetto il dirigente apicale è inflessibile: i tempi. «Ad inizio estate 2025 - assicura - ospiteremo il primo paziente».
Stocco si è insediato a gennaio scorso alla scrivania più impegnativa del nosocomio, alla cui nascita – una risposta all’esigenza di «ricovero di malati e bisognosi», recitano i documenti dell’epoca - ha offerto un contributo non residuale l’Arcidiocesi di Milano (che conserva il diritto di nomina di un consigliere nel cda). Il Policlinico, inscindibilmente legato all’Università Statale della metropoli lombarda, vive, come agli esordi, anche grazie ai corposi lasciti dei milanesi: con oltre 85 milioni di metri quadri di terreno, è il più grande proprietario terriero della Lombardia. I benefattori più generosi entrano nella galleria dei ritratti ospitata nel ricchissimo museo dell’ospedale. Dove ci sono mille quadri (in piccola parte esposti), alcuni firmati da artisti del calibro di Francesco Hayez e Giovanni Segantini. Un patrimonio storico eccezionale è conservato negli scaffali del suggestivo archivio. Qui, per esempio, si trovano testimonianze preziose dell’opera che prestò nelle antiche corsie san Camillo de Lellis; ma il destino dell’ospedale incrociò anche quelli di san Carlo Borromeo (già arcivescovo di Milano) e di santa Maddalena di Canossa. Del resto, ancora oggi, per una singolare tradizione, l’arcivescovo di Milano è il “parroco” della comunità dell’“Ospedale Maggiore”, ruolo che hanno quindi ricoperto, tra gli altri, anche san Giovan Battista Montini (Paolo VI) e il beato Ildefonso Schuster.
Il direttore generale del Policlinico di Milano, Matteo Stocco - Ufficio Comunicazione Policlinico
«Quella che ho raccolto 9 mesi fa è un’eredità storica senza pari - osserva Stocco -. Non inferiore alla dimensione qualitativa e quantitativa di questo Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico,
ndr
)». Che, da anni, è il primo ospedale pubblico d’Italia per produzione scientifica. Pronto adesso ad una nuova svolta epocale nella sua lunga storia. Che Stocco così riassume: «Lanciare la sfida ai colossi della sanità privata».
Ma andiamo con ordine. Come sarà il nuovo ospedale?
Avrà molte novità. La più importante sarà il nuovo monoblocco, che ospiterà tutti i ricoveri, più di 800 posti letto, e che ci consentirà di separare le attività di ricovero da quelle diurne. Il dipartimento di Emergenza urgenza sarà potenziato anche grazie ai due nuovi Pronto soccorso ostetrico-ginecologico e pediatrico, e ai 100 posti letto dedicati nel Padiglione Guardia. Sarà poi riorganizzato il campus biomedico, dedicato alla ricerca; e, con tempi più lunghi, saranno rinnovati gli oltre 20 padiglioni esistenti, ciascuno con una nuova destinazione d'uso, e che, una volta completati, verranno convertiti in “ospedali diurni”. Saranno dedicati, tra l’altro, ai pazienti pediatrici, alle visite, ad esami, ai test di laboratorio, al day hospital. Il nuovo ospedale avrà tra il 50 e il 60% di aree sanitarie in più, con una dotazione tecnologica che raddoppia e una pianta organica che si amplia. Il tutto nella più stretta integrazione con l’Università Statale: cura e ricerca devono procedere di pari passo.
Il nuovo polo aprirà nell’estate 2025 ma già questo è un anno importante per l’ospedale, in termini di volumi.
Lavoriamo per facilitare l’accesso alle cure. Per questo abbiamo aperto le sale operatorie, anche per interventi non urgenti, nei fine settimana, ed esteso l’orario di visite ed esami anche alla sera, e la cosa andrà avanti quando avremo il nuovo ospedale. Abbiamo svolto il 15% di attività ambulatoriale in più, più di 76.000 prestazioni diagnostiche (senza tener conto dell’attività dei laboratori), più di 1.000 interventi chirurgici da gennaio. Tutto grazie alla dedizione dei professionisti che lavorano qui, “complici” nel raggiungimento di questi traguardi.
Anche in questo modo vi siete messi a fare concorrenza ai gruppi privati?
Dobbiamo imparare di più dai privati e mutuare quanto essi fanno sul fronte delle prestazioni e dei servizi. Dobbiamo essere attrattivi nell’incontrare le esigenze della gente. Un esempio: se i bambini da sottoporre ad interventi non vanno a scuola il sabato e la domenica, perché non aprire le sale operatorie in questi due giorni, favorendo così anche i genitori? Gli interventi “fuori orario” del nostro personale sono inoltre incentivati dalla Regione Lombardia, quindi perché non proseguire in questo senso? Vogliamo essere una moderna società di servizi orientata ai bisogni del cittadino e non a quelli della pubblica amministrazione; è un cambiamento di paradigma fondamentale.
Ma fare concorrenza ai privati non sarà facile. Basta guardarsi intorno: i suoi dirimpettai milanesi si chiamano San Raffaele, Humanitas, Ieo, per citarne alcuni. Tutti calibri pesanti...
Certo, e noi siamo pronti a raccogliere la sfida. Ma chi lo dice che un istituto pubblico non debba essere sinonimo di eccellenza? La nostra storia lo dimostra.
Qual è la ricetta per l’eccellenza?
Organizzazione, dotazioni tecnologiche, risorse, servono, eccome. Ma la vera “ricetta” sta negli uomini e nelle donne che danno lustro alla medicina. Ecco, per essere sempre più attrattivi, serve reclutare grandi medici. Noi ne abbiamo tanti. Ma non basta.
Recluterete ancora?
Certo. E avremo risultati importanti già nei prossimi mesi.
Mi scusi, direttore, ma dove li trovate nuovi medici in un periodo in cui sono “merce” sempre più rara?
Lo faremo all’estero, dove ci sono luminari italiani che hanno conseguito brillanti risultati.
Ma un ospedale pubblico può permettersi di pagare grandi luminari?
Di regola no, non potremmo pagare certi stipendi che invece possono permettersi i privati, oppure, appunto, gli ospedali esteri. Ma se al grande professionista prospetti la possibilità di lavorare in un ospedale con un'ampia casistica, di fare ricerca e di insegnare all’Università di Milano, le cose cambiano. E infatti, le sto dando una primizia, stiamo registrando importanti adesioni al nostro progetto da parte di scienziati di chiara fama. In merito, poi, alla mancanza di medici e infermieri, è ancora la sinergia con la Statale che ci viene in soccorso: è qui che si formano i professionisti ed è qui che abbiamo un serbatoio importante dove attingere. E la Statale, nelle aree sanitarie, è tra le migliori università d’Europa.
Quali saranno le specialità che rafforzerete con gli specialisti in arrivo dall’estero?
Siamo già tra i primi in Italia nel “materno-infantile” grazie all’attività delle nostre cliniche De Marchi e Mangiagalli. Quella su cui stiamo concentrando gli sforzi è l’area chirurgica, e soprattutto l’area delle chirurgie a impatto tecnologico avanzato, nelle quali eccellono, al momento, le strutture private. Noi dobbiamo rientrare in quegli ambiti che, nel tempo, sono stati via via “occupati” dall’offerta privata.
Proprio le nuove tecnologie costituiranno una sfida nella sfida. Non crede?
E infatti, grazie anche al supporto della Regione, che ci considera centrali e che nelle scorse settimane ha stanziato ulteriori 50 milioni di euro per la dotazione di strumentazioni avanzatissime, stiamo diventando uno degli ospedali più moderni d’Europa. L’Intelligenza artificiale (Ia, ndr) sarà strategica per la sanità di domani - anche nel ruolo di “supplente” rispetto alla carenza di risorse umane -, per noi lo è già adesso. Con soluzioni che soppiantano metodi tradizionali.
Per esempio?
La utilizziamo nella gestione degli esami ematici, piuttosto che nelle colture batteriche, o nei referti di anatomia patologica; l’Ia “legge” i vetrini e si presenta come altamente affidabile nell’individuazione di numerose patologie, compresa la diagnostica per immagini, che ha ampi margini di utilizzo. Il vantaggio dell’Ia generativa è che i database hanno in pancia milioni di casi; siamo di fronte ad un grande Google, una mappa che offre casistiche sterminate che aiutano i medici nell’analisi ma anche nei percorsi terapeutici di specifiche malattie.
Restiamo sulle dotazioni del nuovo ospedale.
Cresciamo in tutto. Tra l'altro, cito le tre sale ibride, le sette Risonanze e le otto Tac, tutte di ultima generazione, e aumenteranno le attuali 30 sale operatorie.
Lo stato attuale di avanzamento dei lavori nel cantiere, in pieno centro, a Milano - .
Che ruolo avrà la ricerca nel nuovo Policlinico?
Sarà prioritaria. Siamo l’ospedale italiano con il maggior numero di riconoscimenti Ern (le Reti di riferimento europee) per affrontare le malattie rare e le patologie che richiedono cure altamente specializzate, e che mettono in sinergia team di specialisti e tecnologie avanzate con i principali centri di ricerca mondiali. Questo permette di offrire le migliori cure ad ogni età della vita. Il Policlinico ha ottenuto 8,5 milioni di euro di finanziamenti dal Pnrr per 26 progetti, di cui 17 come centro coordinatore. Si va dalla diagnostica avanzata agli studi sui tumori rari, alle malattie croniche ad alta incidenza.
Al “disegno” del nuovo ospedale hanno concorso anche gli architetti Stefano Boeri, Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra. Che tipo di impatto ambientale hanno previsto?
L’ospedale ospiterà un giardino terapeutico pensile di oltre 7.000 metri quadri, che costituirà un “polmone verde” grande come il Duomo di Milano. Avremo un approccio totalmente green, visto che autoprodurremo energia elettrica: agli attuali 3 cogeneratori ne affiancheremo un quarto. Arriveremo così ad avere oltre il 75% di energia autoprodotta. I fumi di scarico non saranno dispersi, ma riutilizzati e, attraverso sistemi di pompaggio, eviteremo gli sprechi perché riutilizzeremo l’acqua piovana.
Quanti dipendenti avrete, a pieno regime?
Oggi abbiamo 4.100 dipendenti. La Regione Lombardia ci ha autorizzato a procedere già con 200 nuove assunzioni. Man mano che cresceremo con produzione e attività continueremo a chiedere nuovo personale. E poi c’è l’area ricerca. Che impiega altri 700 professionisti circa.
Quanto costerà quest’opera?
I costi supereranno i 400 milioni. Ma è interessante sottolineare che il 70% dei 200 milioni di euro dell’investimento iniziale per la costruzione, è stato ricavato grazie alla messa a reddito degli immobili donati nei secoli al Policlinico. Con il nuovo ospedale restituiamo in parte alla città quanto ricevuto. «La riconoscenza è la memoria del cuore», diceva il filosofo Lao Tze.
Come immagina il Policlinico dei prossimi anni?
Sarà un ospedale pubblico che non teme alcuna concorrenza… Rivedremo i modelli di cura e di assistenza. Non c’è un manuale, non una guida, ci sono esperienza e stato di necessità. Con la pandemia abbiamo capito che siamo capaci di adattarci, trasformarci a seconda delle esigenze. Mi piacerebbe pensare a questo ospedale come ad una cittadella della salute: non a caso due padiglioni, per complessivi 200 posti letto, saranno destinati a convitto, per ospitare infermieri e dipendenti che hanno difficoltà a trovare casa in una metropoli cara come Milano. E sarà una cittadella anche per la riabilitazione e per le cure intermedie. Un ospedale prestato al Paese che affronta un nuovo capitolo del suo percorso. Ce lo impongono i tempi, la concorrenza dei privati, la visione strategica. Ce lo impone, soprattutto, la nostra storia, che ci tramanda valori secolari e che, prima dei numeri, continua a farci prediligere il nostro spirito sociale.