Due Italie sempre più lontane, a causa delle marcate differenze fra Nord e Sud, compongono una nazione con deprimenti valori medi dei principali indicatori rispetto agli altri grandi Paesi europei. È la fotografia scattata dal
Censis con l'annuale Rapporto sullo stato del Paese.Un'Italia che "alla crisi ci crede e non ci crede": per alcuni si sfiammerà presto, per altri il tracollo durerà a lungo. Questa diversa percezione, spiega il Censis, riflette l'assenza di una consapevolezza collettiva, a conferma del fatto che restiamo una società "mucillagine", con un contesto sociale condizionato da una soggettività spinta dei singoli, senza connessioni fra loro e senza tensione a obiettivi e impegni comuni. Una vera e propria "
regressione antropologica", con i suoi pericolosi effetti di fragilità sociale, visibile nel primato delle emozioni, nella tendenza a ricercarne sempre di nuove e più forti, al punto che "la violenza o lo stravolgimento psichico si illudono di avere un bagliore irripetibile di eternità, mentre nei fatti sono solo passi nel nulla".Su questa base - rivela il Censis -
si sono moltiplicate piccole e grandi paure (i rom, le rapine, la microcriminalità di strada, gli incidenti provocati da giovani alla guida ubriachi o drogati, il bullismo, il lavoro che manca o è precario, la perdita del potere d'acquisto, la riduzione dei consumi, le rate del mutuo).Ma, avverte l'Istituto, "le difficoltà che abbiamo di fronte possono avviare processi
di complesso cambiamento. Attraverso un adattamento innovativo reso vitale e incisivo dalla combinazione dei "caratteri antichi della società" con i processi che fanno da induttori di cambiamento: la presenza e il ruolo degli immigrati, con la loro vitalità demografica e la moltiplicazione emulativa di spiriti imprenditoriali; l'azione delle minoranze vitali , specialmente dei player nell'economia internazionale; la crescita ulteriore della componente competitiva del territorio (dopo e oltre i distretti e i borghi, con le nuove mega conurbazioni urbane); la propensione a una temperata gestione dei consumi e dei comportamenti; il passaggio dall'economia mista pubblico-privata a un insieme oligarchico di soggetti economici (fondazioni, gruppi bancari, utilities); l'innovazione degli orientamenti geopolitici, con la minore dominanza occidentale e la crescente attenzione verso le direttrici orientali e meridionali.