“Tante lettere di encomio, nessuna risposta”. Il Cem della Croce Rossa italiana è un centro di eccellenza per l’assistenza e la presa in carico di persone con gravi disabilità, che da oltre 50 anni opera a Roma, in via Ramazzini, tra gli ospedali Forlanini e il San Camillo, in una palazzina d’epoca inserita in un parco immenso. “Lo dovete vedere per capire cos’è, il Cem”, dicono i familiari degli utenti e anche gli operatori che vi lavorano da una vita, la maggior parte (il 70%) da precari con contratto a termine. Il Cem, Centro di educazione motoria di cui è proprietaria la Cri che ne cura anche la gestione, dal 1956 assicura standard elevati di assistenza. Intorno agli anni Cinquanta fu la Fondazione Mario Riva a dare un cospicuo contributo per la costruzione dello stabile che oggi è parte di quel valore immobiliare di circa un miliardo di euro di cui dispone la Cri su tutto il territorio nazionale. Le persone disabili ospitate in regime residenziale sono 53, comprese le 8 di Napoli arrivate in tempi recenti perché lì il Cem ha chiuso: sono per lo più cerebrolesi, alcuni costretti a letto e da accudire totalmente, altri su sedia a ruote senza più autonomia. “Quando c’era più personale si portavano fuori”, dicono gli operatori con sconforto. Gli “allettati” vengono mobilizzati ogni tre ore, e “qui nessuno ha le piaghe da decubito”, quelle con cui invece tornano se devono trascorrere qualche giorno in ospedale. Altri 13 utenti vivono in famiglia e si ritrovano ogni giorno al Cem nel centro diurno. I servizi sono erogati da 78 operatori socio-sanitari cui si affiancano altre professionalità. La signora Lorena è una delle operatrici, oltre che responsabile dell’organizzazione precari della Cgil. “Da due anni i soggiorni estivi non si fanno perché non ci sono i fondi – dice – e questa situazione ci consente solo l’accudimento di base, con grosso dolore nostro”. La questione “risanamento economico” (oggetto anche di varie interrogazioni parlamentari) è quella intorno a cui ruota il futuro del Cem e il futuro dei disabili che lì vivono e sta al centro delle preoccupazioni dei loro familiari: come della signora Maria Cidoni, mamma di Barbara disabile grave di 45 anni, il cui sollievo – al pari di tutte le famiglie del Cem – è quello di sapere che la struttura potrà essere la casa di sua figlia anche quando lei non ci sarà più. Ad agosto scorso, causa conti in rosso, c’è stato un accorpamento di più reparti (poi si è tornati alla situazione precedente, anche per le proteste di utenti e familiari) e questo stato di incertezza logora chi, tutti i giorni, fa i conti con un figlio non autosufficiente e con il tempo che passa. A dire il vero il “dopo di noi” al Cem è più che un progetto, come ci racconta l’operatrice Lorena: con fondi propri, Anna Maria Malato in Ranucci moglie di un senatore del Partito democratico, ha ristrutturato a questo scopo un’ala della palazzina. La casa è pronta, mentre nel frattempo alcuni genitori sono venuti a mancare. Ma la casa resta chiusa, anche se è stata fatta “una bella inaugurazione”. Per aprirla davvero, commenta Lorena, la Regione dovrebbe aumentare l’accredito di 9 posti. Già, l’accredito. La Croce Rossa generalmente opera tramite convenzioni – come con Cie, Cara e con il 118 per il quale ha appena siglato con la Regione Lazio un accordo per 40 postazioni – ma nel caso del Cem la situazione è diversa: la struttura è accreditata con la Regione Lazio però, sostiene Lorena, “una fotografia effettiva di questo centro non è mai stata fatta”. A cominciare, forse, da un punto messo in evidenza dal commissario del Comitato provinciale di Roma della Cri ed ex volontario Cem Flavio Ronzi: “Noi siamo l’unico ente pubblico accreditato, che è un controsenso perché l’accreditamento si fa coi privati”.