Vaccini. Cellule fetali nei test? «Cooperazione al male solo remoto»
Ma i vaccini sono eticamente leciti? La questione è emersa – inizialmente in Australia e negli Stati Uniti – sembrando a prima vista una speculazione per bioeticisti, ma si è presto compreso che si trattava di un tema assai serio. La rivista scientifica Nature ha rivelato nel giugno 2020 che nella fase di sperimentazione e sviluppo di alcuni vaccini (come AstraZeneca e Johnson&Johnson) erano state impiegate due note linee di cellule fetali umane ottenute da aborti volontari: la Hek-293 (isolata da un aborto del 1972) e la Per.C6 (1985). La sola idea che nella storia di qualche vaccino (non Pfizer e Moderna, ottenuti con modelli algoritmici) siano implicati in qualche modo aborti ha fatto pensare che ci fosse materia sufficiente per fare obiezione al vaccino.
Il nodo morale non è nuovo: alle linee fetali si fa ricorso anche per vaccini contro morbillo, rosolia e varicella, tanto che nel 2017 Pontificia Accademia per la Vita, Ufficio Cei per la Pastorale della Salute e Medici cattolici intervennero per «escludere che vi sia una cooperazione moralmente rilevante tra coloro che oggi utilizzano questi vaccini e la pratica dell’aborto volontario» concludendo «che si possano applicare tutte le vaccinazioni clinicamente consigliate con coscienza sicura che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione all’aborto volontario».
L’irrompere del Covid e lo sviluppo in tempi serratissimi di vaccini per contrastarlo ha dunque riproposto una domanda nota, davanti alla quale tuttavia la Congregazione per la Dottrina della fede è intervenuta il 21 dicembre 2020 con una sua nota, seguita qualche giorno dopo dalla stessa Accademia.
Anzitutto vi si afferma che «quando non sono disponibili vaccini contro il Covid-19 eticamente ineccepibili è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti». Infatti «il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell’aborto procurato da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è remota. Il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione altrimenti incontenibile di un agente patogeno grave». Quanto al vaccinarsi o meno, se «la vaccinazione non è, di norma, un obbligo morale» e «perciò deve essere volontaria», il perseguimento del «bene comune» porta a «raccomandare la vaccinazione, specialmente a tutela dei più deboli ed esposti». Quanti si sottraggo però «devono adoperarsi per evitare, con altri mezzi profilattici e comportamenti idonei, di divenire veicoli di trasmissione dell’agente infettivo».