VALORI AL CENTRO. Cav, scelte di vita per costruire la pace
La rinuncia all’ego che anima certamente chi dona il proprio tempo per stare accanto «ai fratelli più vulnerabili, cioè alle periferie esistenziali, come fate voi», ha commentato padre Massimo Reschiglian, ministro provinciale dei Frati minori dell’Umbria: «All’epoca di san Francesco i lebbrosi, ovvero le periferie assolute, erano chiamati 'i minori', proprio il nome che il santo scelse per i suoi frati. Egli volle abbracciare il lebbroso e in lui ritrovò se stesso e Dio: allo stesso modo anche voi siete operatori di pace». Come infatti diceva un altro sindaco, La Pira, «il centro della città non è la piazza maggiore, ma l’uomo che soffre». Alla pace possono portare anche le parole, ha ricordato Marco Tarquinio, direttore di «Avvenire», purché siano strumento di verità e non di inganno: «Se questo è un tempo senza pace – ha sottolineato infatti – forse è anche perché noi giornalisti mettiamo in circolo troppe parole di guerra, parole furiose, che portano divisione. Per fare la pace, invece, bisogna sapersi riconciliare, prima di tutto con sé stessi ».
Proprio i media, però, spesso manipolano i vocaboli, creando cortocircuiti per cui il concetto si capovolge: «Vengono tacciati di 'crudeltà' i credenti che difendono la vita, in quanto imporrebbero regole dure – ha citato come esempio – o perché danno uguale dignità alla madre e a suo figlio, l’essere più piccolo e senza voce». Altro capovolgimento avviene con la parola «ingiustizia», usata come alibi per spegnere vite considerate minori: se nascere disabili è «un’ingiustizia», «l’ideologia odierna ammette al diritto di essere vivi solo i perfetti». E il termine «legalità» spaccia per lecito ciò che non lo è, dall’eutanasia di Eluana Englaro all’etichetta di «clandestini» ancora oggi affibiata a fratelli in fuga da guerre e miserie. «Eppure resto ottimista», è la posizione dello scienziato, il neurologo Gianluigi Gigli, oggi deputato, «perché la scienza sta prendendosi le sue rivincite dopo un lungo periodo in cui il binomio scienza e vita sembravano un ossimoro».
Due gli esempi concreti: «Dopo il Nobel dato a Yamanaka, lo stesso Ian Wilmut, 'padre della pecora Dolly' e inventore della clonazione, ha dovuto ammettere che la strada delle staminali embrionali era sbagliata». E poi «se dietro la morte di Eluana c’era l’assunto che un uomo in stato vegetativo non era più una persona, adesso ogni giorno la scienza dimostra che in quei cervelli permangono coscienza e canali di comunicazione ». Il problema non è la conoscenza ma l’uso che se ne fa: «Il grande Lejeune ideò l’amniocentesi non per distruggere vite ma per curarle precocemente. Invece si dannò fino alla morte per ciò che era diventata ».