Cattolici e politica. «I giovani? Non basta fermarsi alla denuncia, serve concretezza»
Si chiama Scuola di formazione all’impegno sociale e politico, per tutti è in estrema sintesi “la Fisp” e a Padova vanta una storia ultratrentennale che ha attraversato momenti storici importanti di vivacità, altri di riflessione e cambiamento di impostazione della proposta formativa, proprio per stare in linea con le esigenze e le dinamiche delle nuove generazioni, sebbene la trasversalità di presenza sia una costante. I dati della nuova ricerca dell'Istituto Giuseppe Toniolo sulla disponibilità dei giovani all'impegno politico e sociale alla vigilia della Settimana sociale dei cattolici italiani a Trieste chiamano in causa i percorsi formativi delle diocesi, specie di quelle con più esperienza sul campo. Come Padova.
«I corsi Fisp – commenta il sociologo Luigi Gui, da dieci anni direttore della Formazione sociopolitica della Diocesi di Padova che fa capo alla Pastorale sociale e del lavoro – hanno una storia lunga e devo dire con stupore che ho constatato una miscela costante di età. In ogni corso su 30/40 partecipanti abbiamo 6-7 giovani sotto i 35 anni. È un dato incoraggiante, ma è innegabile che è una componente “elitaria”, con un alto tasso di scolarizzazione e una consuetudine all’impegno: c’è chi ha già un coinvolgimento nel volontariato, nell’associazionismo o anche nell’impegno civile e politico». Per utilizzare una metafora Gui vede questo “piccolo gruppo” come il lievito rispetto alla pasta «sono agenti di cambiamento di qualità». Pochi ma buoni e sempre presenti, verrebbe da dire, guardando l’andamento degli ultimi anni e con nel cuore una domanda «come coinvolgere altri come me?
»Un dato è certo, sottolinea il sociologo: non manca l’impegno, ma la dinamica e l’evoluzione della scuola stessa lo dimostrano. Se un tempo la Fisp era biennale ora la struttura è concentrata in tre mesi, senza ridurre sostanzialmente il numero di incontri. Intensità di frequenza, legame con il territorio e tempi brevi sembrano essere gli ingredienti che favoriscono la partecipazione. Ampliando l’orizzonte oltre l’esperienza Fisp, Luigi Gui vede nelle nuove generazioni non tanto una mancanza di interesse ma una domanda di concretezza che non sempre si sposa con l’impegno a medio-lungo termine: «Viviamo una fase di affanno della democrazia perché facciamo fatica a trovare delle vie in cui la partecipazione diffusa sia percepita come reale».
Ma perché sono pochi i giovani che riversano l’impegno in un’attività sociale e politica? È una questione di concretezza e di visione globale, sottolinea il sociologo: «I giovani non hanno la percezione immediata del cambiamento e faticano ad avere una visione totale e globale di impegno. C’è da recuperare il valore della partecipazione diffusa e dobbiamo educare a cogliere l’effetto che produce ogni piccolo gesto».
«Sulla partecipazione giovanile c’è fermento, c’è desiderio, ma non abbiamo ancora piena consapevolezza degli strumenti che possono trasformare la partecipazione in proposte concrete sulla realtà attuale» commenta Federico Engaldini, 25 anni, delegato di Azione cattolica nel Consiglio nazionale dei giovani, organismo di rappresentanza e consultazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri. «Oggi – prosegue – siamo più fermi sulla dimensione e la forma della “denuncia”, più che su proposte fattive e concrete di cambiamento». Ma c’è anche un problema di ascolto: «una partecipazione vera e fattiva incide sulle scelte, ha la possibilità di parlare, ha spazio di movimento» e questo forse ancora latita, commenta Engaldini che non nasconde il problema dell’impegno. «I giovani vivono la partecipazione, che comprende l’incontro con la complessità, soprattutto come “impegno” e quindi un di più di tempo da investire in formazione, approfondimento e da aggiungere alle tante cose da fare».