Attualità

L'intervista. Castelli: «Patto di stabilità, il grande assente»

Diego Motta mercoledì 23 aprile 2014
«Veniamo da una stagione di forte austerity, eppure ancora non vediamo quei segnali di inversione di tendenza che servirebbero». Per Guido Castelli, presidente dell’Ifel, l’Istituto per la finanza locale dell’Anci, «l’assenza più pesante è quella di un segnale chiaro e robusto sul Patto di stabilità – spiega il sindaco di centrodestra di Ascoli Piceno –. Siamo ancora fermi a quanto programmato dal governo Letta nell’ultima Legge di stabilità, cioé l’alleggerimento di un miliardo per i Comuni italiani».Nel frattempo, dovrete recuperare 700 milioni in due mesi. In che modo?Anche in questo caso, ci muoviamo sempre su un terreno normativo transitorio, con regole che sembrano assai meno stringenti per le Regioni, peraltro gravate da debiti nel settore della sanità, e molto più rigide per i municipi virtuosi. Lo dico anche rispetto ai nuovi tagli da effettuare, che rischiano di avvantaggiare le città metropolitane penalizzando i piccoli centri. Temo che alla fine aumenterà la burocrazia e si appesentiranno soprattutto le attività degli uffici comunali.Questa volta non potrete dire che le ragioni degli amministratori locali non sono rappresentate dal governo: con un premier e un sottosegretario alla presidenza del Consiglio che prima facevano i sindaci...Per questo resta un sentimento di grande fiducia, oltre all’invito a chi oggi ricopre incarichi politici di primissimo piano a non dimenticare le proprie origini e a non farsi soffocare dalle liturgie romane. Adesso è necessario mostrare più coraggio e determinazione. Pensi a quanto sta succedendo sul versante dei pagamenti alle imprese: speravamo in maggiori risorse, dopo aver smaltito circa 22 miliardi di debiti pregressi. Invece, gli enti locali stanno rapidamente riaccumulando impegni verso privati, che bisognerà onorare al più presto.È inevitabile un aumento delle tasse per i cittadini?L’incremento della tassazione locale negli ultimi anni è stata la logica conseguenza della scelta dello Stato centrale di sostituire i trasferimenti pubblici con una maggior capacità impositiva. Il problema è che cedendo progressivamente sovranità fiscale dal centro alla periferia, anche i trasferimenti si sono avvicinati allo zero. Oggi il grado di dipendenza degli enti locali dallo Stato centrale è bassissimo. Nei prossimi mesi, sarà ancor più cruciale che i territori sappiano esercitare con intelligenza la leva fiscale che è stata loro affidata. Tendenzialmente, i problemi maggiori riguarderanno i cittadini che abitano nei Comuni in cui già si era al 6 per mille per l’Imu sulla prima casa e al 10,6 per la seconda. In altre parole: laddove i livelli impositivi erano già elevati e non si è provveduto per tempo a fare una spending review locale, le possibilità di assistere a un inasprimento della pressione fiscale sono rimaste intatte. Negli altri casi, no.Cosa pensa del piano draconiano di tagli cui andrà incontro la galassia delle municipalizzate?Da tempo, c’è un approccio condiviso da parte dei sindaci rispetto a un percorso di riordino delle società controllate dai Comuni. Ci sono realtà che meritano un intervento immediato, altre verso cui la domanda di maggior efficienza ed efficacia nel servizio svolto dovrà essere più graduale.