Su sentenza della Corte di Cassazione la Ulss di Castelfranco (Treviso) ed un medico dovranno risarcire una famiglia per non aver diagnosticato la sindrome di Down a un feto durante una gravidanza poi portata a termine. Ma, fatto nuovo - come riferiscono i quotidiani locali - la Terza sezione civile della Suprema Corte ha stabilito che vanno risarciti non solo i genitori e i fratelli ma anche la stessa bambina nata down, cui la sindrome non era stata diagnosticata per mancati esami durante la gravidanza.La motivazione della sentenza specifica che se per colpa del medico non viene
effettuata l'amniocentesi, nonostante la gestante abbia chiesto
accertamenti per escludere malformazioni del feto - volendo, in
un simile caso, abortire - nel caso in cui nasca un neonato
handicappato, il risarcimento per la difficile vita a cui è
destinato, oltre che ai suoi familiari, spetta anche al piccolo
venuto al mondo per la negligenza del dottore. La Corte avverte però che questo nuovo orientamento non
intende affatto riconoscere la soggettività del feto e togliere
alla donna l'esclusivo diritto di scegliere se abortire.
"Il diritto alla procreazione cosciente e responsabile è,
dunque, attribuito alla sola madre - afferma l'Alta corte nella
sentenza 16754 - per espressa volontà legislativa, sì che
risulta legittimo discorrere, in caso di sua ingiusta lesione,
non di un diritto esteso anche al nascituro in nome di una sua
declamata soggettività giuridica, bensì di propagazione
intersoggettiva degli effetti diacronici dell'illecito, con
l'indispensabile approfondimento sul tema della causalità in
relazione all'evento di danno in concreto lamentato dal minore
nato malformato".
Con questo verdetto, che non intacca i principi della legge
194 sull'aborto, ma anzi richiama al rispetto della centralità
della scelta della donna, "spesso dimenticata", i supremi
giudici hanno aperto la strada affinché una famiglia trevigiana
tutta - genitori, bimba handicappata e le due sorelline - possa
ottenere il risarcimento dei danni per la nascita malformata non
diagnosticata.Il concepito "non è soggetto di diritti", ma una
volta nato diventa "oggetto di tutela". Per la Suprema Corte, in
casi del genere non si discute "di non meritevolezza di una vita
handicappata, ma di una vita che merita di essere vissuta meno
disagevolmente, attribuendo direttamente al soggetto che di tale
condizione di disagio è personalmente portatore il dovuto
importo risarcitorio, senza mediazioni di terzi, quand'anche
fossero i genitori, ipoteticamente liberi di utilizzare il
risarcimento a loro riconosciuto ai più disparati fini".