Migranti. Caso Sea Watch, la Corte Ue: per fermare le navi servono prove
È il colpo di grazia sui decreti Salvini, che all’epoca del governo M5s e Lega, dovendo venire a patti con il “sistema Libia”, aveva puntato tutto sul contrasto ai soccorritori del mare.
La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che i vascelli umanitari possono essere ispezionati ma non sequestrati se non vi siano fondate ragioni. L’esatto contrario della criminalizzazione imbastita in questi anni, dal “codice di condotta” dell’epoca Minniti ai decreti sicurezza di Salvini caduti a colpi di bocciature nei tribunali di ogni ordine e grado, fino alla Corte Costituzionale.
La Corte di giustizia Ue era stata investita dal Tar di Palermo, che aveva chiesto ai giudici di esprimersi in seguito ai ricorsi presentati dalle Organizzazioni di soccorso. Per il tribunale le navi attrezzate per la ricerca e il soccorso di persone in mare possono essere sottoposte a controlli da parte dello Stato di approdo, ma a condizioni precise: «In caso di evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente», cosa che spetta allo Stato stesso dimostrare. La sentenza scaturisce da un caso che riguarda la Ong tedesca Sea Watch, le cui navi Sea Watch 3 e 4 vennero ispezionate nell’estate del 2020 dalle autorità italiane nei porti di Palermo e di Porto Empedocle. Le Capitanerie disposero il fermo, ma la Ong ha fatto ricorso al Tar della Sicilia, sostenendo che le Capitanerie avrebbero violato una direttiva comunitaria, oltrepassando i poteri dello Stato di approdo.
La Corte europea, riunita in Grande Sezione, dichiara che la direttiva deve essere interpretata tenendo conto delle norme del diritto internazionale, che gli Stati sono tenuti a rispettare, a cominciare dalla Convenzione sul diritto del mare e da quella per la salvaguardia della vita umana in mare. La prima stabilisce l’obbligo di prestare sempre soccorso alle persone in pericolo o in difficoltà in mare. La seconda stabilisce che le persone a bordo di una nave dopo un salvataggio non devono essere computate ai fini della verifica del rispetto delle norme di sicurezza in mare. Questo perché l’urgenza dei soccorsi non consente di far imbarcare solo il numero consentito secondo la “capienza massima”, ma tutti gli esseri umani a rischio. Perciò il numero delle persone a bordo, anche se superiore a quello autorizzato, non può costituire una ragione che giustifichi un controllo. Solo dopo lo sbarco a terra o il trasbordo su altri mezzi in mare, dunque a soccorso concluso, lo Stato di approdo può ispezionare la nave, per controllare il rispetto delle norme di sicurezza in mare. Un provvedimento che deve essere motivato in modo «concreto e circostanziato» da «indizi seri» di un pericolo «per la salute, la sicurezza, le condizioni di lavoro a bordo o l’ambiente». Dunque il “sovraccarico” di persone soccorse non può autorizzare l’ispezione e il successivo fermo del natante.
«La sentenza fornisce una base legale alle Ong e rappresenta una vittoria per il soccorso in mare. Le navi potranno continuare a fare ciò che sanno e che devono fare: soccorrere le persone e non rimanere bloccate in porto per decisioni arbitrarie e pretestuose» È il commento di Sea Watch. «Per mesi – ricorda la Ong – Sea Watch 3 e Sea Watch 4 sono state trattenute per controlli dello Stato di approdo con motivazioni assurde: certificazioni mancanti e troppe persone soccorse».
Bruxelles «prende atto della decisione della Corte di giustizia dell’Ue». Per Anitta Hipper, portavoce della Commissione europea, ora spetterà all’Italia «garantire l’applicazione della decisione». La sentenza potrebbe aprire la strada per una procedura d’infrazione a carico dell’Italia se il governo non darà attuazione al verdetto. Come spiega Fulvio Vassallo Paleologo, giurista e esperto dei diritti umani all’Università di Palermo, senza un adeguamento immediato «andranno risarciti tutti i danni per l’ingiustificato fermo amministrativo, protratto anche per mesi, ai danni delle navi delle Ong».
Ad oggi nessuno dei procedimenti giudiziari a carico delle organizzazioni umanitarie ha prodotto condanne. A Trapani è ancora sequestrata in porto la nave Iuventa, bloccata nel 2018 nell’ambito di una inchiesta per presunte complicità nel traffico di esseri umani. Quasi tutti gli indagati sono stati archiviati e la parte restante dell’indagine vede il giudice delle indagini preliminari svolgere le prime udienze in attesa del rinvio a giudizio o il non luogo a procedere.