Caso Orlandi. Spunta il nome dello zio. Il fratello: «Scaricano tutto sulla famiglia»
Un nuovo nome affiora nel giallo di Emanuela Orlandi, quello dello zio, Mario Meneguzzi, deceduto da tempo e marito di Lucia Orlandi, sorella del padre della ragazza sparita a Roma nel 1983. Una figura portata alla luce da un servizio del TgLa7 andato in onda lunedì sera e stando al quale l’uomo avrebbe molestato la sorella di Emanuela, Natalina. Lei però nega, parlando solo di «avances verbali» subito rientrate e assieme al fratello Pietro accusa ora il Vaticano e la Procura di Roma di voler scaricare ogni responsabilità sulla famiglia.
Secondo quanto rivelato dal sevizio, pare che alcuni mesi dopo la scomparsa della giovane cittadina vaticana, l’allora Segretario di Stato della Santa Sede, Agostino Casaroli, scrisse in via riservata un messaggio per posta diplomatica a un sacerdote sudamericano, inviato in Colombia da Giovanni Paolo II e in passato consigliere spirituale e confessore degli Orlandi. L’obiettivo della missiva, pare sollecitata da ambienti investigativi romani, era quello di chiarire se il religioso sapesse o meno delle presunte molestie ai danni di Natalina e lo stesso rispose di esserne a conoscenza.
Ma non è tutto perché il sacerdote aggiunse anche che la sorella maggiore di Emanuela le confidò di aver paura: le era stato infatti intimato di tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei Deputati dove Meneguzzi, che gestiva il bar, la aveva fatta assumere qualche tempo prima.
Le lettere sono ora finite all’attenzione del promotore di giustizia e ai pm di Roma che da alcuni mesi hanno avviato nuove indagini sulla scomparsa. I titolari dei procedimenti hanno inoltre effettuato un confronto tra l’identikit dell’uomo a colloquio con Emanuela la sera della scomparsa (fatto all’epoca grazie a un vigile e a un agente di polizia), e una foto dello zio, da cui in effetti emerge una certa somiglianza. Chi indaga, sempre secondo quanto si afferma nel servizio, ha dunque ripreso in mano tutte le carte della prima inchiesta e sta mettendo a confronto le dichiarazioni della sorella di Emanuela (che in un verbale presente nei documenti delle vecchie indagini raccontò delle presunte molestie), con una serie di atti processuali per capire perché la pista “familiare” non venne approfondita.
La svolta però non convince Pietro Orlandi, furioso per il mancato avvertimento della messa in onda del servizio e per la volontà, a suo dire, di scaricare tutto sulla famiglia. «Oggi ho capito che sono delle carogne. Hanno deciso di scaricare tutto sulla famiglia, senza vergogna, mi fanno schifo», ha scritto sui suoi profili social. Nel corso della conferenza stampa di questo pomeriggio, convocata proprio per replicare alle notizie uscite, l’avvocato degli Orlandi, Laura Sgrò, ha stigmatizzato la decisione di pubblicare il carteggio, parlando di «macelleria fatta sulla pelle della famiglia». Natalina invece ha ridimensionato le presunte molestie sostenendo di aver subito dallo zio solo «avances verbali» nel 1978 e che il caso fu nient’altro che uno scivolone di cui Domenico Sica, il primo pubblico ministero che si occupò della scomparsa di Emanuela Orlandi, sapeva. Un comportamento, ha continuato, di cui per altro lo zio si penti subito tornando «sui suoi passi». Pietro, ha invece fatto notare che il giorno in cui la sorella sparì suo zio era fuori Roma, «in vacanza con i figli», e ha criticato la scelta di pubblicare l’identikit di Meneguzzi («mi ha dato fastidio»). La speranza del fratello di Emanuela è ora riposta nella commissione di inchiesta parlamentare sul caso, che a suo avviso, resta l’unica via possibile per arrivare alla verità spazzando via i dubbi sulla famiglia.