Denunciano lo stravolgimento della deontologia medica e temono la nascita di un nuovo medico: «l’acritico esecutore di volontà sanitarie altrui». Contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, che lunedì scorso ha dato torto alla Regione che aveva negato che le strutture sanitarie potessero essere il luogo deputato a portare a morire Eluana Englaro, si è mosso l’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Milano con un documento che è stato fatto proprio dalla Federazione degli Ordini dei medici lombardi e dall’Ordine dei medici di Bologna. Se il Tar parlava di diritto di libertà assoluto a rifiutare le cure, gli Ordini dei medici tornano a sottolineare l’importanza dell’alleanza terapeutica; se la magistratura amministrativa sembra giudicare irrilevante l’obiezione di coscienza, gli Ordini professionali ricordano il diritto-dovere del medico di operare in scienza e coscienza, per non essere trasformato in una «nuova figura di esecutore sanitario». La sentenza in questione (la numero 214 del 2009) infatti, per accogliere il ricorso proposto dagli avvocati di Beppino Englaro, sostiene che «il diritto costituzionale di rifiutare le cure è un diritto di libertà assoluta, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes (cioè verso tutti), nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura». E ancora: «La manifestazione di tale consapevole rifiuto rende quindi doverosa la sospensione di mezzi terapeutici il cui impiego non dia alcuna speranza di uscita dallo stato vegetativo ». Quindi se l’ammalato rifiuta le cure viene a «sorgere l’obbligo giuridico (prima ancora che professionale o deontologico) del medico di interrompere la somministrazione di mezzi terapeutici indesiderati». Non si tratterebbe di eutanasia, continua il Tar, «bensì la scelta insindacabile del malato a che la malattia segua il suo corso naturale fino all’inesorabile exitus». Infine il rifiuto della Lombardia «non può giustificarsi in base a ragioni attinenti l’obiezione di coscienza» perché la struttura ospedaliera deve comunque garantire la prestazione. Quindi, secondo il Tar, ricoverata Eluana in una struttura pubblica per esercitare il suo «diritto» a rifiutare le cure, le dovrà essere garantito adeguato accudimento «durante tutto il periodo successivo alla sospensione del trattamento di sostegno vitale; rientrando ciò a pieno titolo nelle funzioni amministrative di assistenza sanitaria». L’impostazione del provvedimento del Tar viene contestato alla base dall’Ordine dei medici di Milano e della Lombardia, nonché da quello di Bologna. Dopo aver ricordato che la sentenza «costituisce un ulteriore passo in avanti lungo una via sbagliata, quale è quella giudiziaria per risolvere un caso che attiene al sentire più profondo dell’animo umano», gli Ordini dei medici sottolineano come «sorprende come nella suddetta sentenza il significato di concetti quali dignità, autonomia, disponibilità della vita venga dato univocamente per acclarato, facendone discendere impegnative conseguenze e superando d’un balzo il lacerante dibattito che investe la nostra società». Ma nell’ambito che attiene più specificamente all’attività professionale, gli Ordini dei medici sono « molto preoccupati dalla pretesa di un organo amministrativo di definire il confine tra ciò che è, nell’ambito dell’atto medico, terapia e sostentamento » . Una preoccupazione estesa « al ruolo che viene delineato per il medico, nel momento in cui gli obblighi professionali e, soprattutto, deontologici vengono concettualmente subordinati a quelli giuridici. Preoccupazione ancora più sentita se si aggiunge il divieto all’obiezione di coscienza » . Quindi gli Ordini dei medici invitano « a riflettere sui principi che di fatto vengono spazzati via, in primis quelli di libertà in scienza e coscienza e di alleanza terapeutica, senza i quali non esisterebbe la medicina » . Infine viene denunciato «che in questo modo si creerebbe una nuova figura di esecutore sanitario molto lontana dal medico, una figura che deve acriticamente limitarsi a prendere atto di ciò che “rientra a pieno titolo nelle funzioni amministrative di assistenza sanitaria” » .