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Viminale. Caso Diciotti: governo spaccato, si vota al Senato mercoledì

Nello Scavo martedì 19 marzo 2019

Alla vigilia del voto in Senato sull’autorizzazione a procedere per il presunto sequestro di persona, secondo l’accusa commesso per ordine del ministro Matteo Salvini a danno di 177 migranti bloccati l’anno scorso a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera, filtrano dichiarazioni finora secretate del capo del capo dipartimento del Viminale. Affermazioni finite nel novero di quelle che il tribunale dei ministri aveva giudicato come «ritrattazioni sospette».
Le affermazioni del prefetto Piantedosi sono state fatte circolare poche ore prima della messa in onda dell’inchiesta di Report (su Rai 3) dedicata proprio al caso Diciotti e che molto allarme sta creando al Viminale. I giornalisti hanno scoperto documenti e testimonianze che smentiscono la versione ufficiale: si vedono prefetti e funzionari fuggire davanti alle telecamere. Uno dei temi chiave usati per sostenere la necessità di trattenere i migranti a bordo della nave era il «rischio terrorismo». Un timore poi svanito, anche perché a bordo della Diciotti non si era proceduto ad alcuna identificazione. Davanti alle osservazioni Matteo Salvini ha risposto così: «Ma noi abbiamo i numeri». Come dire, osservano da Report, che con il consenso popolare si possono anche forzare i diritti fondamentali.

Durante uno degli interrogatori (la cui competenza passò dalla procura di Agrigento a quella di Catania) a Piantedosi viene chiesto se c’erano segnalazioni specifiche di persone a rischio per la sicurezza. «No - risponde Piantedosi -. Non specifica, ma noi abbiamo avuto nei mesi precedenti segnalazioni generiche sull’allarme». Nella relazione inviata dal Tribunale di Catania al Senato, si legge infatti che «nessuno dei soggetti ascoltati da questo Tribunale ha riferito (come avvenuto invece per altri sbarchi) di informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di “persone pericolose” per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale». Non solo, nel corso degli interrogatori presso il Tribunale dei ministri, i funzionari del Viminale hanno "corretto” le loro precedenti deposizioni, qualche volta ricorrendo ai «non ricordo». Deposizioni che secondo i giudici che avevano chiesto di processare Matteo Salvini, suonavano come «ritrattazioni sospette», adombrando il dubbio che volessero coprire responsabilità ai livelli superiori. Per questo un supplemento d’indagine venne affidato agli ufficiali dei Carabinieri di Catania e i cui risultati, se non si svolgesse il processo, non potranno mai venire rivelati. Tra la documentazione del procedimento ci sono anche scambi di messaggi whatsapp tra alti funzionari del Viminale e gli ufficiali delle Capitanerie di porto. Si parla delle trattative con l’Europa e della necessità di attendere decisioni di Bruxelles prima dell’indicazione del porto di sbarco.

Ma dalle interviste di Report si scopre che, contrariamente a quanto annunciato dal governo, nei giorni in cui la Diciotti restava bloccata a Catania nessuna riunione da Bruxelles aveva a tema il caso della nave italiana.
La fuga dai chiarimenti non riguarda solo la Diciotti. Nei giorni scorsi Avvenire ha ripetutamente denunciato e documentato il “silenzio” imposto dai ministeri al caso della Sea Watch, che rimase bloccata in acque italiane quasi due settimane con 47 migranti a bordo, tra cui 15 minorenni. Secondo la procura dei minori di Catania sono state «certamente commesse delle violazioni», su cui dovrebbe avere competenza investiva la procura del tribunale ordinario, guidata da Carmelo Zuccaro. Dal Viminale nei giorni scorsi hanno risposto alle richieste di accesso agli atti opponendo il "segreto" oppure rinviando al Ministero delle Infrastrutture, che non risponde. A sorpresa ieri è arrivata una risposta del Comando delle Capitanerie di porto. Rispondendo all’istanza dell’avvocato Alessandra Ballerini, per conto dell’Associazione Diritti e Frontiere (Adif), viene spiegato di non avere informazioni da fornire perché la competenza è del Viminale.