Polemica. Case popolari agli italiani, si dividono i sindaci Pd

Un anno dopo, la stessa proposta. E le stesse polemiche. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, nei giorni scorsi è tornato sul tema dell’assegnazione delle case popolari nella sua città, rilanciando un’idea già anticipata dodici mesi fa. Allora aveva evocato il rischio banlieue per le periferie, senza un intervento che privilegiasse le famiglie autoctone rispetto a quelle straniere. Tre giorni fa ha completato il suo ragionamento: vanno garantiti più punti nelle classifiche per gli alloggi, ha detto, quanto più a lungo si risiede in Toscana. «Il nostro obiettivo – ha spiegato – è aiutare chi è in graduatoria da troppo tempo e sempre in fondo alla lista, e quelle famiglie che hanno sempre rispettato le regole e che vivono da molti anni nella nostra città, per riequilibrare una concentrazione eccessiva di famiglie straniere». Attualmente sono cinque gli anni di residenza in Toscana previsti come requisito base per partecipare alle graduatorie; a Firenze sono circa 2.500 le famiglie ancora in attesa di un tetto.
La proposta di Nardella ha immediatamente provocato reazioni, a livello nazionale e locale. Il tema delle graduatorie per accedere alle case popolari «è talmente delicato che non si presta a generalizzazioni. Quando abbiamo purtroppo ancora migliaia di famiglie in attesa, è sbagliato politicizzare troppo la questione» ha detto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. «Non credo che dire 'prima gli italiani' senza una riflessione sulle regole in generale serva» ha aggiunto. Critico anche il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi. «Non vorrei che tutte le volte che ci sono le elezioni alle porte, si raddoppiassero gli anni di residenza » ha sottolineato, ricordando come le ipotesi di un allungamento dei tempi di residenza richiesti per avere diritto alla casa, già seguite in passato da Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta, siano state poi annullate dalla Corte costituzionale in base all’articolo 3 della Costituzione.
Plausi invece alla proposta Nardella sono arrivati da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Per il leader della Lega, «meglio tardi che mai, anche il Pd ci dà ragione: prima gli italiani», mentre secondo la numero uno di Fdi, «il sindaco Nardella adotta a Firenze il 'modello Fratelli d’Italia' sul bonus di residenzialità per dare priorità agli italiani nell’accesso alle case popolari».
Ma cosa dicono davvero i numeri? Esiste una concorrenza sleale tra famiglie italiane e straniere nell’assegnazione degli alloggi? «Punto primo: le assegnazioni alle famiglie di immigrati non sono aumentate – risponde Leo Spinelli, segretario generale Sicet Cisl Lombardia –. Secondo: sono cresciute invece le case sfitte o occupate. Terzo: molti regolamenti, come quello della Lombardia, hanno già come obiettivo quello di lasciare fuori dalle graduatorie non solo gli stranieri, ma anche i poveri italiani». Oggi ci sono 1,7 milioni di famiglie in condizione di disagio abitativo e, a fronte di una quota pari al 45% degli stranieri nelle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari, le presenze nelle abitazioni sono di 9 famiglie italiane su 10: solo il 10% degli spazi è dunque abitato da immigrati. Soltanto a Milano, le famiglie in graduatoria sono 30mila, a fronte di 800-900 case disponibili all’anno, cifra peraltro in diminuzione. La distanza tra richieste e disponibilità rimane dunque abissale ed è il vero nodo irrisolto della questione. «Il problema – continua Spinelli – resta l’offerta: se non si fanno case a canoni sociali, possiamo discutere di emergenza abitativa quanto vogliamo ma non risolveremo mai nulla».