Attualità

Milano. Case famiglia, la politica si muove

Paolo Ferrario giovedì 14 agosto 2014
«Perché in Italia tutto ciò che ruota intorno alla promozione della famiglia deve essere sempre così complicato e faticoso?». Ha pensato questo, Mario Sberna, quando, ieri mattina, ha letto su Avvenire la storia della mamma lombarda con otto figli in affido a cui è stato negato il congedo di maternità e la relativa indennità. E ora il deputato di Per l’Italia vuole andare a fondo della vicenda. In breve, i fatti. Cristina Sacchi e il marito Tommaso Greco gesticono, nel Milanese, la casa famiglia dell’Aibi “La tenda di Giobbe” dove, nel corso degli anni, hanno ospitato otto bambini e adolescenti in affido. Ad ogni arrivo, mamma Cristina, infermiera professionale, presenta domanda di congedo all’Inps che puntualmente viene accettata. Otto bambini, otto congedi. Senonché, a maggio 2013 l’Istituto le comunica di aver rigettato tutte le domande, chiedendo indietro i 21mila euro percepiti dalla donna come indennità di maternità. Secondo l’Istituto Cristina «era solo colei che gestiva la comunità familiare» e quindi il congedo non le spettava. E questo perché, formalmente, i minori erano stati affidati all’Aibi e quindi Cristina era equiparata a un’educatrice e non, come in effetti è, a un genitore affidatario. Con un particolare, non secondario: gli educatori sono, giustamente, retribuiti per il loro servizio, mentre i coniugi Greco lo fanno gratis, proprio come una mamma e un papà. Contro la decisione dell’Inps, Cristina presenta prima un ricorso allo stesso Istituto, che viene respinto e poi al Giudice del lavoro di Milano. Anche il Tribunale dà però ragione all’Inps, confermando la lettura “restrittiva” della legge 149/2001 su adozione e affido, che parla di «comunità di tipo familiare, caratterizzata da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia». Condizioni che si verificano, appunto, in presenza di figure familiari come una mamma e un papà. Contro la decisione del Giudice del lavoro, Cristina e l’Aibi hanno intenzione di ricorrere in Appello e, se necessario, in Cassazione. «Vogliamo evidenziare il problema della mancanza di riconoscimento giuridico della casa famiglia », dice il presidente dell’Associazione Amici dei bambini, Marco Griffini, lanciando un appello alla politica. «Il punto è proprio questo – risponde Sberna – e il fatto che manchi una legge che definisca che cosa è una casa famiglia, specificità tutta italiana presente da decenni sul territorio, la dice lunga sull’attenzione del Parlamento verso queste tematiche». Da padre di tre figli in affido (oltre a tre naturali e un altro adottato), il parlamentare centrista è a conoscenza della fatica che si fa a «fare famiglia» nel nostro Paese. «In Italia la famiglia è un limone da spremere a suon di tasse e basta», sottolinea con amarezza, ricordando che «nessuna delle diverse proposte di legge» sulla famiglia «è stata finora incardinata alla Camera» per la discussione. «Sulla famiglia – aggiunge l’ex-presidente dell’Associazione famiglie numerose – c’è una lentezza esasperante della politica, segno di un palese disinteresse. Serve più coraggio e, per quanto mi riguarda, assicuro fin da ora il mio impegno parlamentare per arrivare, quanto prima, ad avere una legge sulle case famiglia, che dia dignità giuridica a un’esperienza straordinaria, che ha davvero salvato la vita di migliaia di bambini e adolescenti  in difficoltà». L’impegno a «riprendere in mano la questione» è confermato da Mino Taricco, deputato del Pd, che ha già sottoposto il tema al sottosegretario al Lavoro, Franca Biondelli. «Alcune Regioni, come il Piemonte, hanno una legge che riconosce le case famiglia – aggiunge il parlamentare – ma manca ancora una legge quadro nazionale. Ne avevamo parlato con il precedente governo e lo stiamo facendo anche con l’esecutivo Renzi. L’intenzione è quella di arrivare a una legge specifica che definisca identità e funzioni della casa famiglia. Ci stiamo lavorando e in autunno sottoporremo di nuovo il tema al Parlamento».