Attualità

ALLARME DEGRADO. Cade a pezzi la «casa dei folli»

Pino Ciociola lunedì 10 dicembre 2012
Dilaniati dal tempo, i muri trasudano spettri. E grida. Strazi di antiche lobotomie ed elettrochoc e catene ai letti. "Casa dei folli" venne chiamato quando fu aperto da Gioacchino Murat l’11 marzo 1813, primo manicomio in Italia. Vi passarono i malati psichiatrici del Meridione: migliaia e migliaia di donne e uomini considerati dannati e, spesso, trattati come tali. Fin quando, negli ultimi anni ottanta, l’ospedale psichiatrico civile "Santa Maria Maddalena" di Aversa venne chiuso, dopo la legge Basaglia del 1978. E più nessuno si curò di questi 170mila metri quadrati, recintati da muri altissimi, di proprietà della Asl e della Regione Campania (a parte un edificio del Comune), che sono una distesa di verde e dodici padiglioni nei quali non si può (potrebbe) entrare, dopo che un’ala intera del padiglione Bianchi venne giù nell’aprile 2006.È un’area grande quanto una trentina di campi da calcio. Un patrimonio immenso, difficilmente stimabile. Buttato via (tranne alcuni uffici della Asl e il piccolo padiglione con la fattoria sociale "Fuori di zucca", di cui parliamo qui di fianco): "Aree dismesse", vengono freddamente definite. Anche gli affreschi si sbriciolano, ma raccontano quale gioiello architettonico fosse questo posto. Cani randagi dietro gli angoli. Topi che passeggiano tranquilli fin quasi sopra i piedi. E di tanto in tanto il puzzo di carogna. Il corpo originario dell’edificio fu voluto da Carlo d’Angiò nel 1269 come Hospitium Lebrosorum su una antichissima chiesa. Nel 1420 vi andarono i Minori Conventuali e dieci anni dopo l’aversano Iacopo Scaglione fece costruire lo splendido chiostro di pietra grigia, ampliato poi dal frate Angelo Orabona, arcivescovo di Trani, che ne fece anche affrescare le volte. Si dice che, per un po’, qui abbia vissuto San Bernardino. Certo è che i Francescani vi risiedettero appunto fino al 1813, con la trasformazione della struttura in "Casa dei folli del Regno di Napoli".La vegetazione soffoca chiostro e fiato. Dai cassetti di  un archivio, sotto un portico, s’affacciano lembi di documenti datati febbraio 1960. Una lampadina d’altri tempi, avvolta da umidità e ragnatele, penzola sotto una delle volte. Qui è stato rubato tutto quanto si potesse, anche le reti dei letti perché il ferro si rivende a buon mercato. Sulle pareti mille scritte con grafie demodè: frasi spesso sconnesse, per tramandare le quali usarono un pennino nero o un carboncino. O che danno brividi come quella su un muro proprio del chiostro: «Pregate morte all’arrivo».Un «orrido luogo destinato all’imprigionamento de’ furiosi - scrisse nel 1823 Domenico Gualandi, psichiatra di fama dell’epoca -. Giacciono essi per terra, ignudi con un paglione a fianco, spesso infradicito e verminoso». E «nel mefitismo delle fecce accumulate in comune nel mezzo delle camere». Maddalena venne "ricoverata" qui nel 1967 e vi rimase trent’anni. Era prima ballerina di locali notturni e poi moglie, sgradita alla famiglia, di un uomo importante e potente. Quando entrò aveva con sé «gonna, bluse, sottanino, mutandine, reggiseno, borsa, calze, fermacapelli, due anelli di metallo giallo». Nel documento di ammissione al "Santa Maria Maddalena", oltre alla diagnosi di «schizofrenia», era annotato che «rincasava a notte inoltrata».Diluvia. La chiesa ha il tetto sfondato quasi per metà e ogni ingresso murato. Si può vedere ciò che ne rimane dall’alto, dopo essersi inerpicati fino a un terzo piano pericolante da far paura, salendo su alcune pietre e infilando la testa nel buco di una parete crollata. Si scorge l’altare, bellissimo. Due sarcofagi di marmo, uno dei quali, insieme all’altare stesso, è opera dello scultore Giovanni Merliani di Nola. Un magnifico Crocifisso ligneo.La natura, nell’ex-ospedale psichiatrico civile "Santa Maria Maddalena", ha trionfato senza neppure combattere. Da muri, soffitti e corridoi grondano piante, muffa, marciume. I solai, specie quelli dei piani superiori, sono crollati. Negli stanzoni i calcinacci si mischiano con acqua piovana che scorre ormai a fiotti, sporcizia e terra entrata da finestre senza più vetri. I pavimenti ballano sotto i piedi. Molti fra i solai che ancora restano al loro posto sono gonfi, ingobbiti verso il basso e un crollo annunciato. Il vento soffia nelle scalinate distribuendo pioggia e brividi. Qui vissero esseri umani per internare i quali poteva bastare una certificazione del medico generico. E questi muri, dilaniati dal tempo e dall’incuria, sembra trasudino spettri.