Idee. Casa, cibo, servizi (oltre al Reddito); il piano Caritas per l’Italia dei poveri
Un uomo senza fissa dimora nelle nostre città
Per contrastare con efficacia la povertà strutturale in Italia, serve un sistema di vita contro quello di morte della criminalità organizzata. Che affianchi le proposte all’esame del governo per modificare il reddito di cittadinanza e affronti la marginalità nelle periferie come nelle aree interne. Progettare e costruire insieme sono i temi che hanno animato a Salerno la seconda giornata del convegno nazionale delle Caritas diocesane sul tema “Agli incroci delle Strade”, che ha approfondito il tema delle periferie che, come ha spiegato Giovanni Laino, docente in Tecnica e pianificazione urbanistica presso la Federico II di Napoli «hanno bisogno di programmi non occasionali, che rendano effettivamente esigibili i diritti. Sono importanti gli spazi, ma allo stesso tempo le risorse umane, quelle economiche e le competenze». Il 9,4% della popolazione italiana vive in una condizione di povertà assoluta: quasi 5,6 milioni di persone, oltre 1,9 milioni di famiglie, che non hanno il minimo necessario in termini di beni e di servizi per vivere dignitosamente.
«Non basta il reddito di cittadinanza o comunque si voglia chiamare - sostiene il direttore della Caritas italiana, don Marco Pagniello -, ma abbiamo bisogno di mettere a sistema diverse soluzioni di contrasto alla povertà». Quali? «Se accanto al reddito di inclusione o protezione non ci sono i servizi, la ricerca del lavoro può essere vana. Pensiamo a una madre che non sa dove lasciare i bimbi, non potrà lavorare. E se non c’è la regolamentazione degli affitti e non si torna a lavorare sull’edilizia popolare con nuove costruzioni o la ristrutturazione del patrimonio immobiliare, non ne usciamo. Dunque, ribadiamo la proposta di separazione tra reddito e assegno per il lavoro, ma dall’altra parte chiediamo di progettare un sistema per i servizi. Mettere a sistema significa applicare il principio di sussidiarietà, ognuno deve fare la sua parte. Il governo, gli enti locali, la Chiesa, il Terzo settore, il volontariato devono dare risposte concrete che cambino la vita alla gente. Il grosso dramma come conferma l’Inps è che l’Italia è in pieno inverno demografico». Anche il tema degli aiuti alimentari va rivisto. «Non basta la lotta allo spreco, non possiamo limitarci a distribuire ai poveri avanzi e prodotti in scadenza. Dobbiamo creare anche qui un sistema più efficiente che raggiunga chi veramente ha bisogno. Ad esempio, con l’uso delle eccedenze alimentari Fead. Persino l’accompagnamento è difficile perché in Italia mancano gli assistenti sociali. Progettazione e costruzione sono le vie per rilanciare la lotta alla povertà».
Don Alberto Conti, direttore della Caritas diocesana di Trivento, a cavallo tra Abruzzo e Molise, ha ricordato il dramma dello spopolamento delle aree interne. «È in crisi la vita delle comunità perché vengono meno gli ambulatori, i negozi, le infrastrutture, la cura della terra, una volta coltivata e che oggi rischia di franare. Tutto questo porta nel cuore degli abitanti solitudine, scoraggiamento e tanta paura, perché fa paura vivere con il pensiero che non c’è il medico, che non hai più un vicino di casa. Accanto al nostro impegno di Caritas occorre ridare dignità alla politica, che rimetta al centro le persone, che pur abitando in questi luoghi devono godere di uguali diritti rispetto a chi vive in città. Perché se non è così tradiamo Costituzione e Vangelo».
Gennaro Pagano ha spiegato come funziona il Patto educativo che coordina, promosso dalle istituzioni ecclesiali, e che sta muovendo i passi sperimentali nel comune di Napoli. «Siamo partiti da tre quartieri difficili della città: Forcella, Soccavo e Ponticelli dove, una volta al mese, con tutte le associazioni, istituzioni, municipalità, scuole, Chiesa, ci mettiamo intorno a un tavolo educativo, per cercare di studiare non soltanto il territorio, ma quali risposte possiamo dare alle varie emergenze che in quel territorio si presentano. Napoli è piena di eroismi educativi, di persone impegnate sia dal punto di vista ecclesiale che laico, però la tragedia è che queste persone, e spesso anche le realtà che rappresentano, lavorano in maniera isolata. Serve una nuova alleanza, più fattiva, tra coloro che si occupano di educazione. E non solo a Napoli, ma ovunque”.
D’accordo con lui il teologo Carmine Matarazzo, per cui «il paradigma delle periferie non deve promuovere slogan, piuttosto deve aiutare l’azione caritatevole ed umanitaria delle comunità ecclesiali ad ascoltare meglio e con più competenze le istanze umane presenti nei territori e nei quartieri». Occorre cambiare paradigma, come fa papa Francesco, considerando «le periferie come centro».