Quello che si apre domani davanti al Tribunale della Corte d’appello della Città del Vaticano presieduto dal presidente Giuseppe Dalla Torre, indipendentemente dall’esito, è destinato a entrare nella storia. Sul banco degli imputati compariranno l’ex aiutante di camera del Papa, Paolo Gabriele e il tecnico informatico della Segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti. Il primo accusato di furto aggravato, il secondo di favoreggiamento. E per aiutare il mondo dei mezzi di comunicazione a seguire al meglio l’iter processuale, ieri il professor Giovanni Giacobbe, promotore di giustizia (equivalente alla nostra pubblica accusa) ha illustrato le procedure e lo svolgimento del processo stesso.«La confessione accompagnata da circostanze che la convalidino come è avvenuto in questo caso rende più facile il compito dell’accusa – ha spiegato il promotore di giustizia –, tuttavia in generale la confessione da sola non basta per una sentenza di condanna». Dunque alla confessione dell’ex aiutante di camera del Papa, l’accusa dovrà accompagnare prove concrete che il reato sia stato commesso, «altrimenti – aggiunge Giacobbe – la sentenza potrebbe facilmente essere impugnata dalla difesa proprio perché non suffragata da elementi probatori».Durante il dibattimento potranno essere riascoltati i «testimoni già ascoltati nell’istruttoria» condotta dalla polizia giudiziaria vaticana, ma «possono essere chiamati anche altri testimoni nel corso del dibattimento» ha spiegato il professor Giovanni Giacobbe. Non sarà invece acquisita agli atti processuali la relazione redatta dalla commissione di tre cardinali incaricata dallo stesso Benedetto XVI di indagare sulla fuga di documenti riservati dall’appartamento pontificio. Ma nello stesso tempo, il promotore di giustizia sottolinea che le istituzioni della Chiesa cattolica potrebbero decidere di consegnare il documento al Tribunale, che a questo punto lo acquisirebbe agli atti.Oltre ad ascoltare i testimoni nel dibattimento, che si apre domani mattina, potrebbero emergere altri reati compiuti dagli imputati così da rendere necessario il cambio del capo d’imputazione. In questo caso, precisa ancora il professor Giacobbe, «secondo un principio generale in vigore sia in Italia sia in Vaticano, il Tribunale potrebbe decidere di rimettere gli atti alla procura». Ma quale condanna rischiano gli imputati qualora risultassero colpevoli? Per il reato di furto aggravato, ha risposto il procuratore di giustizia «l’imputato rischia da 6 mesi a 3 anni di carcere (che dovrebbe scontare in Italia), ma con le aggravanti si può arrivare fino a 4 anni». Decisamente più lieve la pena per il favoreggiamento: fino a un massimo di un anno in cella. Ovviamente «il Papa, come un normale capo di Stato, può decidere di concedere il perdono agli imputati cancellando gli effetti della condanna». Per ora Benedetto XVI, ha sottolineato il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi «non è intervenuto prima del processo», e inoltre, aggiunge Giacobbe «il perdono del Papa non ha scadenze temporali».Per Paolo Gabriele, arrestato lo scorso 23 maggio e ai domiciliari dal 21 luglio, sono ore di grande tensione, come raccontano alcuni amici dell’ex aiutante di camera del Papa. «È una persona prostrata psicologicamente perché proprio con l’avvicinarsi del processo sembra rendersi veramente conto di quello che ha fatto». La preoccupazione di Paolo Gabriele è soprattutto verso la sua famiglia, in particolare i tre figli. Una preoccupazione dovuta soprattutto all’ondata mediatica che la vicenda giudiziaria inevitabilmente provocherà. La famiglia Gabriele spera in un processo dai tempi brevi, ma, come ha sottolineato nei giorni scorsi il direttore della Sala Stampa vaticana padre Lombardi, è difficile fare previsioni sulla durata del dibattimento.