Riforma. Giustizia, sette giorni per trattare. Draghi: fiducia, ma aperti a modifiche
Inaugurazione di un anno giudiziario
Alla fine, è andata come gli indizi lasciavano supporre. «Sulla riforma della giustizia ho chiesto l’autorizzazione a porre la fiducia», annuncia in serata il premier Mario Draghi, mostrando determinazione ad accelerare sulle modifiche del processo penale. Determinazione, sì, ma non uno strappo o un aut aut che fa leva sul rischio di sopravvivenza del governo e di un voto anticipato col semestre bianco alle porte.
Non è con le minacce che si fanno le riforme, premette lui stesso nella conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri: «Deve essere una riforma condivisa. Non è giusto minacciare la consultazione elettorale, se non la si approva. E 5 o 6 giorni prima del semestre bianco i tempi per organizzare una consultazione elettorale non ci sarebbero comunque». Poi il premier risponde alle obiezioni della magistratura: «Nessuno vuole sacche d’impunità, niente dilazioni, vogliamo un processo rapido e che tutti i colpevoli siano puniti».
Una trattativa politica, che preveda ad esempio (come chiede il Pd) una norma transitoria per "ammortizzare" il passaggio alla nuova tempistica dei processi, pare possibile: «C’è stato un testo approvato all’unanimità in Cdm, è un punto di partenza», ammonisce Draghi. Tradotto: i passi indietro "radicali" (come la cancellazione della "nuova" prescrizione abbinata a improcedibilità proposta dal governo) non troveranno udienza. Ma «faremo di tutto perché il testo sia condiviso. E qualora sia necessario, si farà un nuovo passaggio in Cdm anche su eventuali nuovi testi».
Insomma, il messaggio è chiaro: «Siamo aperti a modifiche di carattere tecnico, che non stravolgano l’impianto e che, ripeto, siano condivise». Da fonti pentastellate, si accredita la notizia di una telefonata fra il premier e Giuseppe Conte, prima del Cdm, forse anche per non mettere in difficoltà i ministri 5s ieri presenti. Che ci sia stata o meno, «da parte del governo c’è la massima buona volontà».
Dal canto suo, la ministra di Giustizia non ritiene «provocazioni» le obiezioni sul rischio d’impunità per reati gravi – sollevate dai procuratori antimafia, dall’Anm e ieri anche dal Csm (la cui sesta commissione ipotizza un «impatto negativo dell’improcedibilità» sui processi): «Sono preoccupazioni da analizzare e prendere in considerazione e sulle quali si può lavorare», valuta Marta Cartabia, ribadendo che la riforma non risponde solo alla richiesta europea delle «condizioni del Pnrr», che chiede «di ridurre del 25% i processi penali», ma risponde soprattutto «alle esigenze dei cittadini».
L’obiettivo, aggiunge la Guardasigilli, è di favorire la ragionevole durata dei processi, «abbreviarli ed evitare le zone di impunità», considerate le «percentuali molto alte di prescrizioni oggi già nelle fasi iniziali, pari al 37% in fase di indagini preliminari e altrettanto prima della fine del processo di primo grado», un problema da «aggredire».
In attesa del voto di fiducia, la trattativa fra governo e maggioranza ora si sposta alla Camera, in commissione Giustizia. Dopo il deposito di 1.631 subemendamenti (917 del solo M5s) ai 24 emendamenti del governo al ddl Bonafede, ieri la conferenza dei capigruppo ha calendarizzato il testo in Aula per venerdì 30 luglio. E già oggi la commissione esaminerà l’ammissibilità dei subemendamenti.