Attualità

REPORTAGE. Carpi, la vita rinasce in tenda

Paolo Lambruschi venerdì 1 giugno 2012
​Martino ha scelto la seconda scossa del 29 maggio, quella delle 13, per venire al mondo in una tenda nel giardino dell’ospedale terremotato di Carpi. I medici non hanno mollato, lui e la mamma neppure. È il simbolo della tenacia e della voglia di rinascita di una terra che deve vincere una paura mai provata prima.Non si parla molto di questa fetta della Bassa che corre lungo la A22 dove i danni maggiori sono stati causati soprattutto dalla seconda scossa del 29 maggio. Carpi è stata ferita nella memoria con i palazzi dell’autorità civile e religiosa pericolanti e inutilizzabili e il magnifico centro storico diventato zona rossa.Il terremoto ha seminato terrore, l’ospedale conferma che da 72 ore sono aumentate le richieste di aiuto per crisi di panico. Ma la paura della terra che non smette di tremare convive con la voglia di ricominciare. L’ospedale di Carpi, ad esempio, anche se inagibile, non ha smesso di funzionare. Ha trasferito i malati, ma con l’aiuto della Protezione civile emiliana e lombarda sono state montate nel cortile tende che garantiscono i servizi di pronto soccorso. Qui veniva due volte alla settimana come cappellano don Ivan Martini, il parroco di Rovereto sul Secchia, morto martedì in chiesa mentre cercava di recuperare la statua della Madonna. I suoi funerali verranno celebrati lunedì.Non ci sono tendopoli per scelta del Comune perché finora dei 2000 palazzi visti dai tecnici in tre giorni, solo 50 sono inagibili e gli sfollati nemmeno un migliaio. Eppure in città la popolazione vive nei parchi pubblici o nei campi sportivi che di notte si trasformano in dormitori. Sono le parrocchie ad accogliere i senza tetto. Anche il vescovo Cavina è tra questi e si trasferirà presto nella parrocchia del Corpus Domini, una delle quattro sulle 50 della diocesi rimaste in piedi.«Abbiamo quasi tutte le chiese inagibili – conferma il vicario generale, don Carlo Malavasi –, celebriamo le funzioni in tende. Abbiamo messo a disposizione il cibo che avevamo e le nostre strutture caritative sono in azione. Dobbiamo risollevarci anche se da soli non possiamo farcela. Chiederemo aiuto non per costruire chiese, ma luoghi dove la comunità possa ritrovarsi e celebrare battesimi e matrimoni, dove i bambini possano essere accolti. Intanto continueremo a stare vicino agli sfollati con i volontari».Come nella parrocchia di Santa Croce, dove il parroco don Rino Barbieri ospita 128 persone sotto il tendone usato per la sagra, metà occupato da 119 letti della Protezione civile, il resto dai tavoli per la mensa. Lo gestiscono i parrocchiani, che mercoledì hanno aperto il campo su richiesta del Comune. «Preferiamo cucinare noi – spiega Luigi Soliani, coltivatore diretto –, siamo in 15 e ci siamo divisi in turni di 24 ore per stare sempre accanto a chi ha bisogno. Qui ci sono anziani, disabili, bambini piccoli. Ad esempio una famiglia di Cavezzo con un bambino di due anni e un altro in arrivo. Sono scappati qui perché hanno perso casa e posto di lavoro. E ci sono molti immigrati fuggiti dalle case di campagna». Stasera il Comune effettuerà il censimento degli sfollati, poi chi ha la casa agibile dovrà rientrare, i letti servono altrove.Anche Reggiolo, provincia di Reggio Emilia, è stata ferita nei simboli della memoria e la gente dorme in strada per la paura. La tendopoli che accoglie 500 abitanti del centro storico, zona rossa, è nel campo sportivo. Di sera molti altri vanno in auto a dormire davanti al campo parrocchiale, famoso perché ci tirò i primi calci Carlo Ancelotti. Li accoglie il parroco don Gino Bolognesi, gigante instancabile temprato da 12 anni di missione in Madagascar che da martedì cerca di tirare su il morale alla gente, visita malati e anziani, tiene unita la comunità. Una donna è accasciata sull’auto, lo saluta, sta male per l’emozione di essere rientrata in casa. «Dormo in auto anch’io – la rincuora don Gino – non ho più nulla e non so che fine faranno la chiesa e la canonica. Ma nessuno di noi è morto, il più è fatto».La Caritas ha mandato i viveri, le associazioni fanno il resto. «Il tessuto regge – conferma il vicesindaco Franco Albinelli – tanti cittadini si sono messi a disposizione. Però non possiamo ancora cominciare i controlli nelle case e nelle fabbriche, che vogliono ripartire. Mi creda, lo Stato qui c’è».