Carcere. Sono già 80 i detenuti che si sono tolti la vita. La lettera del vescovo
L'ingresso del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta)
Le carceri scoppiano. E dietro le sbarre si continua a morire. Le persone detenute che si sono tolte la vita dall’inizio dell’anno a oggi negli istituti di pena italiani sono 80, un numero assai vicino, purtroppo, al tragico primato raggiunto nel 2022, quando furono in tutto 84.
Segno che nulla è cambiato nonostante l’allarme lanciato da tempo dagli addetti ai lavori sull’emergenza sovraffollamento: in base ai dati del Ministero della Giustizia, il 31 ottobre scorso si è arrivati a 62.110 presenze (6mila sono ristretti senza una condanna definitiva). Si tratta di 248 unità in più rispetto a settembre e di 342 oltre quelli registrati alla fine di agosto. Un aumento costante del saldo entrate-uscite che appesantisce la già difficile situazione esistente nelle 189 strutture carcerarie del nostro Paese, la cui capienza complessiva è, a tutt’oggi, di 51.181 posti (11.000, dunque, sono "in eccesso"). Quasi ovunque i detenuti dormono stipati in quattro, o anche sei, in uno spazio di appena 8-10 metri quadrati, nei casi migliori. Le condizioni della convivenza sono spesso impossibili. Le carenze del personale di sorveglianza creano ulteriori disagi. Si moltiplicano gli atti di autolesionismo e i casi di disagio mentale non si contano più (il 30% avrebbe manifestato disturbi di carattere psicologico o psichiatrico).
Gli ultimi due drammi della disperazione sono avvenuti nelle Casa circondariali di Santa Maria Maggiore a Venezia (è il terzo in sei mesi) e di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Le vittime sono un recluso 41enne di origini marocchine che si è impiccato nel bagno della sua cella del carcere del sestriere veneziano di santa Croce, e un casertano di 53 anni finito dietro le sbarre del “Francesco Uccella” dopo un lungo periodo trascorso in libertà per disintossicarsi. L’uomo, tornato dentro per “cumulo di pena” (doveva scontare dieci anni per piccoli furti e ricettazione), lascia la moglie e due figli. Il suicidio è avvenuto nella notte di Ognissanti.
«Ancora una volta un nostro fratello non ha trovato nessuna speranza di libertà a cui aggrapparsi se non la morte» ha commentato il vescovo di Caserta e Capua, Pietro Lagnese. «Non possiamo e non dobbiamo 'abituarci' a queste notizie – ha proseguito il prelato - in un Paese civile, nessuno dietro le sbarre deve sentirsi condannato a morte ma deve trovare nel tempo della pena motivi di speranza per il futuro, come recita l’articolo 27 della nostra Costituzione. Le carceri, come afferma Papa Francesco, dovrebbero avere sempre una finestra e un orizzonte, anche quando la pena è perpetua. Nessuno può cambiare la propria vita se non vede un orizzonte. È un grido di dolore che ferisce tutti: non possiamo stare a guardare! Non conosciamo i motivi del suicidio del nostro fratello – ha aggiunto monsignor Lagnese - ma possiamo immaginare il senso di solitudine, di paura per il futuro che lo hanno angosciato fino a decidere di compiere un atto così estremo. Questo ci deve interrogare. Certo, è più facile reprimere che educare, creare spazi per rinchiudere nell'oblio i trasgressori della legge piuttosto che offrire loro durante la detenzione sostegno psicologico, prospettive di lavoro e speranza di autonomia. All'espressione 'marcire in carcere' che tanti continuano a usare, come se si possa arrivare a considerare una persona uno scarto alimentare, bisogna preferire la parola di Gesù che dice: “Ero carcerato e mi siete venuti a trovare”».
Intanto ieri si è insediato il nuovo presidente del garante nazionale dei diritti delle persone provate della libertà personale: è Riccardo Turrini Vita, ex magistrato e dirigente dell’Amministrazione penitenziaria.