Attualità

IL CASO. Carceri, i direttori scendono in piazza

Nello Scavo e Ilaria Sesana mercoledì 6 luglio 2011
Parlano di «prigionieri» e non di detenuti. Poi scandiscono: «Guantanamo è qui, non a Cuba». Non sono gli slogan di qualche scalmanato extraparlamentare, ma la denuncia dei direttori delle carceri italiane che oggi, per la prima volta nella storia repubblicana, sciopereranno in massa. I dirigenti delle oltre 200 case di detenzione e quelli degli uffici dell’esecuzione penale esterna scenderanno in piazza a Roma per protestare «sullo stato penoso del sistema carcerario italiano», spiega Enrico Sbriglia, segretario nazionale del Sidipe, il sindacato maggioritario che ha convocato la manifestazione con Cisl, Dps, Cgil e Uil. L’appuntamento è per questa mattina a Roma, presso il ministero della Funzione pubblica (a Palazzo Vidoni), da qui il corteo si sposterà poi verso la sede della Camera: lungo il percorso, i direttori distribuiranno ai cittadini copie del regolamento carcerario listate a lutto. Attualmente, nelle carceri italiane vivono oltre 67mila persone, stipate in spazi pensati per accoglierne 45mila o poco più. Ma il sovraffollamento non è solo un problema di numeri. «In una giornata tipo - ha spiegato Sbriglia il 25 maggio alla Commissione Diritti umani del Senato - nel contesto in cui opero vengo a contatto con 30, 40 o 50 nazionalità, con un numero elevato di professioni e di sensibilità religiose, con innumerevoli diversità che vanno da quelle comportamentali in senso stretto a quelle alimentari». Si ha la sensazione, conclude Sbriglia, che un fenomeno così importante e globale quale è l’immigrazione «sia stato affrontato senza considerare effettivamente la sua complessità, ma facendo leva sugli umori, le impressioni e le paure della collettività».In questa condizione, spesso, l’articolo 27 della Costituzione resta lettera morta. I progetti di recupero, poi, sono un lusso per pochi. «Non nascondo il fatto che noi operatori penitenziari, che assistiamo dall’interno a tali situazioni  - ha confessato Sbriglia, che da solo deve occuparsi delle carceri di Trieste, Udine e Gorizia -, viviamo un forte disagio anche perché sappiamo di dover applicare comunque le regole. Ed è difficile immaginare un’applicazione strenua di una norma quando si ha la sensazione che essa sia contro e non a favore della persona».E quando si parla di recupero e reinserimento sociale non si può non fare riferimento al ruolo (fondamentale) giocato dal lavoro in carcere. Elemento essenziale del trattamento, ma che deve fare i conti con importanti problemi di bilancio. Negli ultimi anni, infatti, è notevolmente aumentato il numero di detenuti assunti da imprese e cooperative che usufruiscono dei benefici previsti dalla "Legge Smuraglia" (sgravi fiscali e contributivi) e il budget annualmente a disposizione, circa 4,5 milioni di euro, «è diventato ampiamente insufficiente per ripianare tutte le richieste, costringendo in alcuni casi a interrompere le convenzioni in essere» spiegano dal Dipartimento dell’amminsitrazione penitenziaria.La situazione, quindi, è come congelata: aziende e cooperative cha hanno voglia di "crescere" non solo non potranno farlo ma è prevista anche una riduzione del numero di detenuti fruitori di tali misure. «Io ho appena assunto tre detenuti, ma non ci sono i fondi e quindi non potrò usufruire degli sgravi della legge - dice Lillo Di Mauro, presidente della cooperativa romana "Altri percorsi economici"- nel mio bilancio avevo messo in conto questi incentivi. Devo scegliere se licenziare alcuni dipendenti o andare sotto».«Il rischio - commenta Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone - è che migliaia di detenuti in misura alternativa vengano licenziati dai loro datori di lavoro e siano costretti a rientrare in carcere. Andando a peggiorare una situazione di sovraffollamento già insopportabile». Per questo motivo Antigone chiede al Dap di utilizzare i soldi della Cassa delle ammende per dare copertura finanziaria alla Smuraglia almeno sino alla fine dell’anno. «Non ci aspettavamo un così grande successo della Smuraglia -spiega Luigi Pagano, provveditore regionale della Lombardia-. Per questo bisognerebbe incrementare i fondi destinati agli sgravi fiscali per chi assume in carcere. Ma non basta: occorre interrogarsi a 360 gradi, creare una cultura d’impresa solida che sappia reggersi sulle proprie gambe, a prescindere dalle agevolazioni».