La pena dovrebbe consistere nella privazione della libertà per il periodo di tempo stabilito dal giudice, ma nelle 206 carceri italiane si sconta anche una serie di pene accessorie non previste dal codice, lesive della dignità umana. E della Costituzione, come ha osservato il ministro della Giustizia Angelino Alfano, perché l’articolo 27 sancisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Al bando ogni buonismo di maniera, parlano i numeri: l’ultimo riepilogo nazionale del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) riferisce di 60.574 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare complessiva di 43.169 e di un limite tollerabile di 63.623. Raggiungere e sfondare quel limite è ormai questione di giorni. «L’andamento dei flussi fa prevedere che già entro la fine di questa settimana saremo a quota 61mila», avverte Leo Beneduci, segretario del sindacato di polizia penitenziaria Osapp. Al sovraffollamento vanno ad aggiungersi annose carenze strutturali, organizzative e di personale: mancano lo spazio, gli agenti, gli psicologi, i mediatori culturali per gli stranieri (che sono più di un terzo dell’intera popolazione carceraria), gli educatori. I governi che si sono succeduti negli ultimi anni ne sono consapevoli. Nell’estate 2006 si tentò la strada dell’indulto, che portò alla liberazione di circa 26mila dei 60mila reclusi di allora, ma già nei primissimi giorni del 2008 il direttore del Dap Ettore Ferrara fu costretto a riconoscere che l’effetto dello sconto generalizzato di pena era svanito. E ammonì: «La situazione sta diventando irrecuperabile, c’è un rubinetto aperto che allaga la casa e tutti guardano senza intervenire». Il rubinetto ha continuato a gocciolare e oggi siamo da capo. L’attuale esecutivo ha assicurato che non intende stare a guardare e due mesi fa ha varato, con un emendamento al decreto 'milleproroghe', un ambizioso piano carceri che prevede la costruzione di nuovi istituti e la ristrutturazione di quelli esistenti per realizzare 17mila ulteriori posti letto. Per accelerare i tempi è stato nominato un commissario straordinario, il neo-direttore del Dap Franco Ionta, che entro maggio dovrà indicare dove e come costruire. I fondi necessari arriveranno dalla Cassa delle ammende (oltre 150 milioni di euro, che sarebbero stati destinati a progetti di reinserimento dei detenuti) e da investimenti di imprese private che, in cambio, riscuoteranno un canone dall’amministrazione penitenziaria. Il commissario straordinario avrà inoltre poteri speciali per accelerare l’edificazione e la ristrutturazione. Ma l’aspetto più innovativo del piano riguarda lo sdoppiamento dei 'circuiti' carcerari, ha spiegato Ionta: ci saranno prigioni «pesanti » per «detenuti particolarmente pericolosi, che hanno commesso crimini con violenza», e «leggere» per «coloro che sono considerati a bassa pericolosità». I primi saranno ovviamente sottoposti a «misure di sicurezza particolarmente elevate», per gli altri invece – ha aggiunto il direttore del Dap – «si apriranno di più gli spazi di socialità, facendo sì che la cella diventi solo un luogo di riposo». Le carceri «leggere», riservate soprattutto a detenuti in attesa di giudizio per reati meno gravi, potranno anche essere stabili prefabbricati che è possibile impiantare in 8-10 mesi. Nel frattempo, però, la situazione si fa ogni giorno più grave. La scorsa settimana i senatori Salvo Fleres (Popolo della libertà) e Pietro Marcenaro (Partito democratico) hanno visitato i penitenziari siciliani, constatando problemi di ogni tipo: a Favignana le celle si trovano 7 metri sotto il livello del mare e non hanno finestre; a Catania in pochi metri quadri stanno fino a 13 persone, alcune costrette a dormire in terra per mancanza dei letti; a Palermo quasi non esistono le attività rieducative. Mali comuni a gran parte delle carceri, da Nord a Sud. A Torino, nella casa circondariale Lorusso Cotugno – ha reso noto l’Osapp –, i reclusi sono 1.600 mentre la capienza sarebbe di 923, così molti dormono su materassi sistemati sul pavimento della palestra. Bisogna tener conto, tra l’altro, che oltre 38mila dei 60mila carcerati sono ancora in attesa di giudizio. Quindi, stando alla Costituzione, sono da considerare «non colpevoli» fino alla condanna definitiva. Tutti però, imputati e condannati, scontano ingiustamente le già citate «pene accessorie» non scritte. In un quadro del genere, la rieducazione (prevista dalla 'solita' Carta costituzionale) è solo un miraggio: troppo pochi quelli che in carcere lavorano o studiano. È di questi giorni l’allarme del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: «In tutte le carceri della regione diminuiscono le ore retribuite per i detenuti lavoranti ». E le misure alternative al carcere coinvolgono meno di 15mila persone: poco più di 8mila affidate in prova ai servizi sociali, 1.500 in semilibertà, 4.800 in detenzione domiciliare. Troppo spesso pure il diritto alla salute resta sulla carta. E il disagio sfocia in tragedia: Giuliano D., il ventiquattrenne con problemi psichici che si è suicidato tre giorni fa nel carcere di Velletri, non rappresenta purtroppo un caso raro.