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Il tema. “Effetto Rebibbia” sulle carceri: si riapre il dibattito sui gesti di clemenza

Diego Motta sabato 28 dicembre 2024

Detenuti dietro le sbarre

L’anno orribile delle carceri italiane si chiude con un gesto di speranza, che apre a nuove prospettive per il 2025. L’apertura della Porta Santa a Rebibbia da parte di papa Francesco, nel giorno di Santo Stefano, accompagnata dalle parole pronunciate nella Bolla di Indizione dell’Anno Santo, in cui il Pontefice evocava la necessità di «forme di amnistia o di condono della pena», ha avuto l’effetto di risvegliare dal torpore in particolare il mondo politico, rimasto colpevolmente in silenzio negli ultimi 12 mesi. Eppure la situazione era sotto gli occhi di tutti. Non ci sono mai stati così tanti suicidi in cella, in un anno, dal 1992: a togliersi la vita sono stati 88 detenuti e 7 agenti. Il tasso di sovraffollamento ha superato il 132% e il picco di presenze dietro le sbarre ha riguardato anche gli istituti minorili. Non passa giorno che la cronaca non racconti di proteste per le condizioni indegne dei penitenziari, con la polizia che reclama più tutele e più personale.

La riflessione degli esperti

«La mia personale opinione è che un gesto di clemenza potrebbe costituire un punto di svolta che permetta di eseguire le pene rispettando pienamente la dignità di tutte le persone coinvolte, da subito». Per Domenico Arena, che per anni ha ricoperto il ruolo di Direttore generale per l’esecuzione penale esterna (Uepe, oggi chiamato Giustizia di Comunità) e che dal prossimo 7 gennaio sarà Provveditore regionale per l’amministrazione penitenziaria in Sardegna, un provvedimento del genere «dovrebbe essere l’inizio di un processo di riforma per un sistema di esecuzione penale più umano e giusto, pienamente aderente ai dettami costituzionali, capace di proteggere la collettività e di offrire percorsi educativi e di reinserimento sociale seri e credibili». Parole in sintonia con quanto sostengono da tempo i cappellani, che in carcere sono interlocutori preziosi per tanti detenuti. Secondo Don David Maria Riboldi, che è cappellano a Busto Arsizio, «il governo dovrebbe ascoltare l’accorata richiesta del Papa, andando oltre logiche di irragionevole cattiveria. Bisogna infatti ridare asilo alla parola “clemenza” per ridare dignità alle persone ristrette negli istituti di pena del Paese. E a chi vi lavora quotidianamente». L’attenzione al personale di polizia accomuna tutti gli addetti ai lavori. «Un nuovo sistema permetterebbe anche a tutti gli operatori, a cominciare dalla Polizia penitenziaria, di lavorare in condizioni più accettabili e dignitose, dedicandosi efficacemente alla propria missione» spiega Arena. Senza dimenticare che un atto come l’amnistia o l’indulto non andrebbe letto solo in una direzione. «Un gesto di clemenza può aiutare un detenuto a scavare nella propria coscienza» sottolinea don Marcello Cozzi, che ha seguito al 41 bis tanti boss mafiosi. «È giusto chiedere loro di aiutarci a portare a galla la verità in tante storie di dolore che essi stessi hanno provocato, chiedendo agli stessi detenuti gesti analoghi di distensione e di perdono verso le vittime delle loro azioni».

Un dibattito in 48 ore

Quel che è mancato, finora, è stato un dibattito pubblico su questo tema. D’improvviso, nelle ultime 48 ore, il tema ha però tenuto banco. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha detto che bisogna ripartire da «sport, lavoro e cultura nelle carceri» e alle sue parole ieri ha fatto seguito Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, secondo cui «va risolto il grave problema del sovraffollamento carcerario. Il problema non è solo svuotare gli istituti penitenziari, ma anche e soprattutto evitare la recidiva». All’apertura del vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, che su Avvenire ha chiesto ai partiti di ragionare sulla «possibilità di un indulto parziale», non si sono però accodate altre prese di posizione da parte dei partiti della maggioranza, in particolare Fratelli d’Italia e Lega, mentre per Forza Italia, Antonio Tajani ha parlato subito di «soluzioni necessarie, a partire dalla carcerazione preventiva». Forte il pressing delle opposizioni, con la vicepresidente Pd della Camera, Anna Ascani, che pubblicando su Instagram la foto del Papa a Rebibbia, ieri ha chiesto al governo di «impegnarsi per tutelare la dignità umana» dietro le sbarre. Attacchi all’esecutivo sono arrivati da Avs (per Ilaria Cucchi, «maggioranza e governo usano il carcere come discarica sociale») e da + Europa (con Riccardo Magi che sottolinea come «sul carcere il Papa c’è, lo Stato no»). Sullo sfondo, c’è l’ultimo grido d’allarme lanciato dalle associazioni dei giuristi italiani, che hanno espresso «sconcerto» per la situazione in cui versa il sistema penitenziario. «Società civile e istituzioni si muovano, è in gioco la nostra civiltà giuridica».