Non servono più le massicce mura di cinta e nemmeno porte blindate e celle serrate a tripla mandata. Non sono sufficienti le quotidiane ronde dei (pochi) agenti nei reparti e le perquisizioni dei detenuti in semi-libertà quando rientrano la sera, e neppure i controlli sui familiari ammessi ai colloqui. Le carceri ormai sono un “colabrodo”. E quando droga, armi e telefonini non possono entrare dall’ingresso principale “piovono dal cielo” trasportati dai droni. È accaduto l’ultima volta nella Casa circondariale di Trani dove, nella notte fra sabato e domenica, un brindisino di 29 anni comandando a distanza uno di questi piccoli velivoli ha provato a catapultare all’interno dell’istituto di pena un “ordinativo” di droga (200 grammi fra hashish, cocaina e marijuana), sei mini cellulari e uno smartphone. Ma i poliziotti penitenziari se ne sono accorti prima che il materiale arrivasse a destinazione e con un blitz hanno individuato e arrestato il pilota-spacciatore che aveva tentato inutilmente di fuggire. Ora si trova anche lui dietro le sbarre della prigione pugliese. Droni sono stati avvistati anche sopra il carcere di Marassi a Genova, sempre di notte e senza luci, nell’ultimo week-end, dopo che la direzione del penitenziario aveva fatto alzare la rete di protezione per evitare che dall’esterno venissero lanciati nel cortile panetti di droga e telefonini anch'essi oggetto di compravendita tra i ristretti). Identica la storia, che risale al dicembre del 2021, scoperta nel carcere casertano di Carinola, dove una decina di detenuti spacciavano dosi di hashish fatte entrare dai droni manovrati dall’esterno e rivendute poi a un prezzo maggiorato del 100% rispetto a quello di mercato che gli acquirenti pagavano con ricariche di carte Postpay.
«Nulla può contro i droni la Polizia penitenziaria – commenta Fabio Pagani, della UilPa - visto che non è dotata di alcun dispositivo per individuarli e inibirne le frequenze che consentono il pilotaggio da remoto. Eppure le strumentazioni esistono, sono poco costose, portatili e di semplice e immediato posizionamento. Perché allora, non acquistarne un certo numero - conclude il sindacalista - e dislocarle presso quelli che possono essere gli obbiettivi più sensibili?».Dove non può arrivare il personale di sorveglianza, inoltre, perché largamente insufficiente nelle carceri sovraffollate (la media supera, nel complesso, il 115% della loro capienza) ci “pensano” i cani poliziotto a scovare col fiuto anche minimi quantitativi di stupefacienti, come al Gazzi di Messina, dove il parente di un recluso era riuscito a far entrare nella stanza di colloqui quantitativi di hashish destinati allo smercio interno ma è stato intercettato prima dal cane Leda e poi dagli agenti: è finito lui stesso dietro le sbarre. Ma in cella arrivano da tempo, e vengono tenuti nascosti, anche pistole e coltelli, paracadutati dai soliti droni e acchiappati al volo da mani tese oltre le sbarre delle finestre. Il caso più eclatante era successo a settembre del 2021 nel carcere di Frosinone, non nuovo peraltro a questi episodi. Nel marzo scorso al “Pietro Cerulli” di Trapani i carabinieri hanno sgominato, con l’”Operazione Alcatraz” una banda – trenta tra detenuti, agenti penitenziari e persone a piede libero finite in manette o indagate per vari reati - che organizzava da cinque anni un traffico di droga, sigarette, telefonini e profumi in carcere facendo passare la roba dentro a palloni di calcio e scarpe, oltre che coi soliti aeromobili pilotati da remoto. Si era creata una fitta rete di favori e complicità che prevedeva come contropartita oltre a somme di denaro, biglietti per il teatro e per partite di calcio e persino prestazioni sessuali elargite dalla compagna di un detenuto. Così, chi pagava, poteva fare telefonate e videochiamate ai suoi parenti oppure ottenere permessi speciali fuori dalle regole previste dall’ordinamento penitenziario. «Un sistema di corruzione ben collaudato che ha messo in crisi la sicurezza all’interno del penitenziario» ha commentato il procuratore di Trapani Gabriele Paci che ha parlato anche di un “nervo scoperto”.Chi non è d'accordo con il concetto di "carcere colabrodo" è il Presidente del garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma: «Esiste da sempre , all'inizio dell'estate, un forte disagio ma gran parte del sistema non è in corto circuito - afferma - e allora è necessario affrontare queste criticità senza dividersi ideologicamente e investire su progetti per ridare significato al tempo del carcere: istruzione e la formazione sono determinanti, i detenuti devono acquisire competenze e conoscenze utili per quando saranno usciti, strumenti che serviranno anche per capire le regole e le responsabilità di ciò che si è commesso e per cui si sconta la pena». Palma sottolinea che sono circa 8mila in Italia i reclusi con una condanna sotto i tre anni i quali potrebbero essere sottoposti a misure alternative. Ma sono necessari servizi sul territorio che se ne possano fare carico.