Attualità

Carceri. La rivolta, il detenuto morto, le parole del vescovo: Trieste è un caso

Francesco Dal Mas, Trieste venerdì 12 luglio 2024

Striscioni dei detenuti che chiedono dignità durante la protesta a Trieste

Al carcere del Coroneo la tregua è durata solo poche ore. Dopo la rivolta scoppiata nella tarda serata di giovedì, ieri pomeriggio i sanitari del 118 hanno trovato una persona detenuta priva di vita. Era all'interno della propria cella. Un gesto estremo? Le indagini sono in corso, quel che appare certo è che la morte è avvenuta per overdose da metadone, forse preso nella stessa infermeria assaltata. Neppure il tempo di contare i feriti di qualche ora prima (ben 7 ma per fortuna nessuno in pericolo di vita), quando in 130 si sono lasciati coinvolgere in una protesta contro il sovraffollamento, il caldo, le cimici.

La centralissima Via Coroneo è stata bloccata dalle forze dell’ordine, con agenti in tenuta antisommossa. All’interno è stata presa d’assalto l’infermeria, dove sono custoditi i farmaci. Il magistrato di sorveglianza, Emanuela Putrino, si è subito posta in ascolto delle richieste dei detenuti. «I detenuti sono ammassati, ci sono celle da 9 persone con un unico bagno e c’è chi sta nelle sezioni con i materassi a terra» riferisce Giovanni Altamore, segretario regionale del Sappe. «La rivolta era nell’aria, la giornata era stata teatro di frizioni, di recriminazioni di richiesta di attenzione. A nulla è servito l’impegno di molti per cercare di riportare alla ragione le persone ormai esasperate da mesi di detenzione inumana e degradante. Queste sono le condizioni di detenzione nella locale casa circondariale, non potrebbe essere diverso» ha fatto sapere la Garante comunale dei diritti dei detenuti di Trieste, Elisabetta Burla. «A fronte di 139 posti regolamentari – ha spiegato - le presenze sono ormai assestate nel numero di 260, materassi a terra, in una sezione in 8 metri quadri due persone con wc a vista; problematiche sanitarie che in troppi lamentano non essere affrontate in maniera adeguata, difficoltà nel fare gli acquisti al sopravvitto, caldo rovente, spazi limitatissimi, infestazioni di cimici da letto; poche le attività anche in ragione degli spazi, ancor meno le persone coinvolte in esse». La situazione, ha aggiunto Burla, «è critica anche sul fronte della magistratura di sorveglianza di Trieste, con un carico di lavoro particolarmente rilevante che grava su un unico magistrato e sul ridottissimo personale amministrativo. Ieri sera in servizio c'erano 12 agenti della penitenziaria, raggiunti, letteralmente di corsa, da tre agenti.

La Chiesa di Trieste, sempre attenta alla problematica, si è fatta carico col vescovo Enrico Trevisi di ribadire che «la situazione è impressionante» e che «ora occorre agire», magari «invertendo la tendenza di aumentare i reati a cui corrispondono pene detentive per inventare altre modalità di pene, che meglio corrispondono a quanto previsto anche dalla nostra Costituzione, dai Trattati Internazionali e dalle nostre leggi».«Il sovraffollamento cronico, l’inadeguatezza strutturale di molte carceri, la mancanza di personale a tutti i livelli (dalla polizia penitenziaria, agli amministrativi, dagli educatori ai direttori) – puntualizza il vescovo - sono solo alcuni dei macro problemi che si intrecciano. Io non sono il più competente per farne un’analisi e questo non è il contesto». Monsignor Trevisi mette subito in rilievo alcune contraddizioni. La prima? «Le persone sono in carcere perché non hanno rispettato la legge: ed ecco che è un controsenso se poi lo Stato non rispetta le leggi che regolamentano il carcere e i carcerati, a partire dal fatto che la Costituzione prevede che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (Art 27)».

Denuncia, il vescovo, che il sovraffollamento (per cui l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani), l’inadeguatezza delle strutture e la impossibilità di sanificarle (ecco la presenza delle cimici che non si riescono a debellare), la mancanza del personale rendono le pene inumane. Il caldo in strutture sovraffollate rende tutto ancora più esasperante. Ricorda, monsignor Trevisi, che i detenuti sono persone assai vulnerabili: il dramma dei suicidi lo testimonia. «La persona detenuta – insiste ancora Trevisi – va posta nella condizione di potersi riabilitare». E, dunque, «non dimentichiamoci delle possibilità della “giustizia riparativa”, che è una opportunità importante introdotta dalla “riforma Cartabia». E poi, testimoniando il Vangelo, si tratta di ri-umanizzare le carceri. Apriamo pure il confronto – esorta il vescovo - e però agiamo subito per allentare la disperazione nei carcerati e la fatica immane del personale che lavora nei penitenziari: personale che non possiamo abbandonare nella gestione di tensioni esplosive e ingestibili.