Realtà che si tenta di rimuovere dalla coscienza o di nascondere alla quotidianità, il carcere e i carcerati costituiscono invece per la Chiesa di Napoli una condizione concreta che trattiene vita e sofferenza e da cui non distogliere lo sguardo, cui prestare attenzione e soprattutto amore, su cui interrogarsi. Un’opportunità è stata offerta dal convegno organizzato ieri nella sala del Tempio di Capodimonte dal Centro diocesano di pastorale carceraria e che ha caratterizzato la prima delle due giornate dedicate al carcere «Problema di tutti». «Come Chiesa – precisa don Franco Esposito, cappellano a Poggioreale e direttore del Centro – non siamo chiamati a realizzare quello che devono fare le istituzioni, ma ad annunciare la redenzione e il bene e se necessario a denunciare». Oggi, prima domenica di Quaresima, per tutta la diocesi è la Giornata di preghiera per i carcerati: nel pomeriggio, alle18, nella chiesa di San Pietro e Paolo a Ponticelli, l’arcivescovo di Napoli cardinale Crescenzio Sepe presiederà la celebrazione eucaristica, cui seguirà l’incontro con gli ex detenuti, i detenuti, cui è stato permesso di partecipare, e le loro famiglie. Ieri testimonianze, proposte, denunce, iniziative per «sensibilizzare la realtà che ci circonda verso una parte della società in cui viviamo tra le più drammatiche – ha chiarito il cardinale Sepe –. Per far conoscere i problemi e le difficoltà e soprattutto le aspirazioni di quanti hanno scontato o scontano la pena e sentono l’esigenza di una ripresa, di una speranza in un futuro migliore». Un’occasione per saggiare l’impegno comune della Chiesa napoletana, del volontariato, delle istituzioni nel raggiungere quello che il cardinale definisce «il fine ultimo» cioè «far sì che il carcere non sia un inferno, ma un tempo di maturazione e di redenzione». Con la passione che lo caratterizza don Franco Esposito ha descritto la realtà carceraria e le possibilità di cambiamento come un’alternanza di bene e di male, dove entrambi sono però equivocamente mischiati: «Rinchiudere – ha detto – migliaia di tossicodipendenti lasciandoli chiusi per anni per 22 ore al giorno è un compromesso con il male. Incominciare a pensare a misure alternative è voler vincere il male. Continuare a volere un ergastolo ostativo, senza benefici, è pura vendetta. Scommettere sulla redenzione è vincere il male». Il Centro di pastorale carceraria, con la Caritas diocesana e le associazioni, sta compiendo segni sensibili e visibili: le borse lavoro per gli ex detenuti, la casa di accoglienza per i detenuti, il Centro di ascolto, il Movimento unito detenuti ed ex detenuti «Uomo Nuovo», l’adozione da parte delle parrocchie di un detenuto. Un’insieme di attività che sono anche un richiamo alle istituzioni: «Per dire che si può far uscire una persona dalla delinquenza con solo 500 euro al mese e per tagliare i legami che la camorra mantiene con chi è in carcere fornendo assistenza legale e sostenendo le famiglie» ha insistito don Franco. Si cerca cioè di costruire un contatto tra il carcere e il territorio. Rapporto che nel carcere milanese di Bollate è norma. Roberto Bezzi, direttore dell’area educativa del carcere di Bollate, ha spiegato a una platea meravigliata il «carcere umano, dove prevale l’aspetto trattamentale, dove esiste un “fuori” ricco che vuole entrare nel carcere e che ha la possibilità di farlo». A Bollate funzionano le scuole dall’elementare all’università. Cinque cooperative sociali e due aziende private danno lavoro ai detenuti, anche all’esterno. «Il carcere chiuso – ha affermato Bezzi – non può essere inteso come una sorta di lavatrice da cui il detenuto esce rinnovato se non c’è l’offerta alternativa, la fiducia e la voglia di sfida».