Attualità

Carbone, petrolio e gas?. Avanza il «disinvestimento» dalle fonti fossili

Andrea Di Turi lunedì 5 gennaio 2015
Con i prezzi del greggio che potrebbero presto precipitare a cinquanta dollari al barile, sono in effetti parecchie le preoccupazioni che turbano il sonno delle grandi compagnie petrolifere. Ma ce n’è una, in particolare, che ha preso forma solo negli ultimi anni. Ed è alimentata da una critica che va dritta alle fondamenta del business del petrolio e delle fonti fossili di energia.Alla presentazione dell’ultimo allarmante rapporto di Ipcc, il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici promosso dalle Nazioni Unite, è stato lo stesso segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, a sollecitare fondi pensione e compagnie assicuratrici – i cosiddetti "grandi investitori istituzionali" – a ridurre gli investimenti in fossil fuels (le fonti fossili di energia, carbone, petrolio, gas naturale) a favore delle fonti rinnovabili. A settembre erano stati addirittura i discendenti di John D. Rockefeller, fondatore della Standard Oil, una delle maggiori compagnie petrolifere del mondo, a dichiarare di voler dismettere gli investimenti in fossil fuels in capo al Rockefeller Brothers Fund (un fondo da 860 milioni di dollari di risorse). A maggio l’Università americana di Stanford aveva formalizzato l’impegno a disinvestire il proprio patrimonio – oltre 18 miliardi di dollari – dalle società attive nell’estrazione del carbone.Sono alcuni dei casi più noti di sostegno alla campagna per il "fossil fuel divestment", il disinvestimento dalle fonti fossili. Un movimento dal basso che ha mosso i primi passi negli Stati Uniti, diffondendosi soprattutto grazie alla mobilitazione degli studenti universitari.Cosa chiede il movimento? Il contesto è la lotta al climate change, il cambiamento climatico, per la quale «il tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo», ha ricordato di recente Papa Francesco. Se vogliamo sperare di limitare gli effetti dei cambiamenti climatici, serve contenere l’innalzamento delle temperature terrestri entro i 2 gradi centigradi. Cioè "decarbonizzare" l’economia, azzerando nel lungo periodo l’utilizzo di fonti di energia fossili, principali responsabili delle emissioni di gas serra.Per questo il movimento chiede di: congelare i nuovi investimenti in società quotate legate al business dell’energia fossile; dismettere quelli in essere; dirottare le risorse verso le energie rinnovabili.Si stima che gli impegni a disinvestire interessino già 50 miliardi di dollari di asset, in capo a centinaia di università, fondazioni, organizzazioni religiose e Ong, enti locali, singoli individui. Stati come Vermont e California hanno addirittura cominciato a discutere della possibilità di vietare per legge l’investimento in fossil fuel.Le opinioni sull’efficacia del divestment variano, persino fra i paladini dell’investimento socialmente responsabile (Sri): colossi del calibro del Fondo sovrano norvegese (che ha costruito però le sue fortune proprio grazie agli immensi giacimenti di petrolio del Paese nordico) e di Calpers (fondo pensione dei dipendenti pubblici della California) hanno dichiarato di credere di più nell’efficacia del dialogo con le aziende per arrivare a modelli di business più sostenibili. C’è poi la questione rendimenti: si stima che larga parte delle riserve di combustibili fossili accertate non potranno mai essere "bruciate" se non si vuole sforare il tetto dei 2 gradi centigradi; di conseguenza le società del settore si troverebbero con asset "incagliati", che inciderebbero sulle prospettive di rendimento. Al riguardo fa riflettere un dato diffuso all’ultima Sri Conference, principale evento Usa sulla finanza Socialmente responsabile: in un anno sono cresciuti di oltre il 50% i consulenti finanziari che hanno proposto portafogli d’investimento "fossil free". Resta a questo punto da vedere se i prezzi bassi del petrolio getteranno o meno ulteriore benzina sul fuoco del divestment. Che ormai è acceso.