Volevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno. Ora si devono difendere sul dolce 'negato' ai bambini delle scuole. Infuria, infatti, nella politica nazionale e sui social network la polemica che riguarda l’amministrazione a Cinque Stelle di Pomezia (Roma), che per le mense ha previsto un menù con e uno senza il dessert. Il primo cittadino, Fabio Fucci, non ci sta a passare da 'ladro di merendine' (per citare un titolo di Andrea Camilleri) e dopo aver denunciato quella che secondo lui è una campagna orchestrata a fini elettorali contro il M5S e aver spiegato come non si tratti di discriminazione, ha anche assicurato che il Comune si fa carico dei 40 centesimi del dolce per chi non ce la fa ad acquistarlo. Già perché di 40 centesimi si tratta. La differenza tra i due menù (4 euro e 4 euro e 40) che, dice il primo cittadino, sono stati inseriti in un capitolato del dicembre scorso, discusso in precedenza con i genitori stessi. La richiesta era stata di differenziare le quantità «e questo sì poteva essere discriminatorio», afferma Fucci. Poi si è arrivati a differenziare i menù, che - in realtà - sono identici per tutti a pranzo, mentre la merendina della contesa è rimandata al pomeriggio, quando i bambini possono consumare cibi anche portati da casa o farne a meno, secondo l’indicazione dei genitori. Da un paio di giorni, però, le polemiche divampano non solo a livello locale (dove l’ex avversario alle amministrative, del Pd, contesta le cifre e parla di menù da 3 e 5 euro), ma pure nazionale. È soprattutto il Pd a insorgere. Dopo alcuni senatori, ieri è intervenuto anche il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che parla di «ignobile scelta». Il presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni (Anci), Piero Fassino, ritiene che «basta selezionare sulle tariffe, introdurre la selezione del dolce è ridicolo e umiliante per i bambini». Il ministro del-l’Istruzione, Stefania Giannini, dapprima dice di non conoscere bene il caso e di essere per l’autonomia scolastica. «Non mi sembra una situazione di discriminazione», ha poi osservato. Criticata da Valeria Fedeli (Pd), vicepresidente del Senato. «La competenza sui menù – ribatte – non è delle singole scuole, ma del Comune». A sera il ministro precisa di ritenere «iniquo» optare per menù differenziati. La prossima settimana sul tema ci sarà una riunione tra il Comune, le famiglie e le scuole, fa sapere una vicepreside. La vicenda della cittadina alle porte di Roma (56 mila abitanti, di cui 7mila immigrati) ha dato alla onlus 'Save the Children' il destro per riproporre, a pochi giorni dall’inaugurazione, la campagna 'Illumina il futuro', che vuole sensibilizzare alla «crescente povertà educativa fra bambini e adolescenti, strettamente correlata a quella economica». All’iniziativa sono legati un 'Monitoraggio dei servizi di refezione scolastica', condotto su 36 Comuni, e una petizione al sindaco di Vigevano, unica amministrazione tra quelle considerate dove un bambino può essere escluso dal servizio anche se i genitori non pagano una sola retta (per morosità avviene, sia pure non subito, pure a Brescia, Adro, Crotone, Campobasso e Lecce). Certo, alcuni Comuni prevedono esenzioni per situazioni di particolare svantaggio, come una sopravvenuta disoccupazione (Genova, Cagliari e Bari). Ma i criteri di accesso al servizio e per l’esenzione, denuncia il dossier, non sono per nulla omogenei. Le tariffe minime mensili, poi, variano dai 5 euro di Napoli ai 7 di Salerno, ai 66 di Brescia, i 72 di Vigevano, fino ai 90 di Ancona. La richiesta di 'Save the children' è di fare della mensa un diritto di base garantito a tutti.