La media nazionale di ragazzi tra i 15 e i 24 anni che hanno giocato al videopoker o con le slot machine è del 46 per cento: quasi al metà dei giovani di questa fascia d’età ha sperimentato prima o poi il brivido della puntata. E non c’è di che stupirsi. «È normale che i ragazzi, gli adolescenti prima degli altri, siano grandi giocatori. È la sfida che li tenta com’è giusto che sia a quell’età. Sbagliato è che decidano di sperimentarsi, di mettersi alla prova sul tavolo da gioco. Che è sempre meno reale e sempre più virtuale, raggiungibile con un collegamento internet, da casa». Così Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, traccia un identikit preciso del giovane alle prese con l’azzardo. «Sono ragazzi in cerca di avventure.
Sensation seeker si chiamano, sempre a caccia di eccitazione e di euforia. La prospettiva della vincita – spiega Cantelmi – determina la produzione di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. E la voglia di riprovare quel piacere induce a ripetere il comportamento».Sebbene divieti e norme limitino grandemente il gioco d’azzardo, sette minorenni su dieci giocano e scommettono, soprattutto online, alla ricerca del massimo risultato con il minimo sforzo. «Colpa di noi adulti e del messaggio clamorosamente sbagliato che stiamo trasmettendo ai nostri figli. Stiamo crescendo una generazione di giocatori che farà impallidire quella attuale. Dovremmo insegnare ai ragazzi che la vita è piena di sfide da affrontare, che è giusto mettersi in discussione, superarsi, andare oltre il limite. Ma che per tutto ciò – sottolinea lo psichiatra – servono grande impegno e tanti sforzi, la fortuna non basta. Invece, complice la televisione, li abbiamo deresponsabilizzati, li stiamo illudendo che il merito non serve, basta la fortuna». Con buona pace della sana costruzione del sé. Il controllo della vita dei figli, anche quelli adolescenti, è sfuggito di mano ai genitori, sia nel mondo reale sia, soprattutto, in quello virtuale. Mamma e papà non hanno gli strumenti per controllare dove vivono e chi frequentano i loro figli quando sono online. «Responsabilità dei genitori – accusa Cantelmi – è anche riempire le tasche dei figli di denaro senza poi chiedere conto di come viene utilizzato». E riempire le casse dello Stato, il primo a puntare sul gioco d’azzardo, fonte consistente di introiti con cui vengono finanziati progetti di varia utilità: «Il problema non è che lo Stato promuova il gioco. Il problema è che dovrebbe anche impegnarsi a regolarlo. Per esempio rallentando la velocità delle slot machine. Perché è provato – chiarisce il professore – che più il gioco è veloce e più si gioca. E sarebbe anche necessario individuare il cattivo giocatore, cosa possibilissima, per esempio, nelle sale Bingo o nei casinò. Il compito dello Stato non è vietare ma regolamentare». Esistono cattivi giocatori, sono uno su dieci, quelli che non sanno darsi un limite, che non riescono più a dire di no. Ma ci sono anche buoni giocatori, capaci di controllo, che non sviluppano alcuna dipendenza. «Per loro – spiega Cantelmi – il gioco d’azzardo resta quel che è, una sfida e un divertimento, non una malattia. Circa il 4 per cento degli adolescenti ha un problema con il gioco d’azzardo online. Per i genitori che vogliono evitare di ritrovarsi con uno scommettitore patologico restano valide alcune indicazioni di buon senso. Prima di tutto è necessario dare il buon esempio. Quindi – suggerisce Cantelmi – stabilire chiare regole circa i siti internet frequentabili e dotarsi comunque di un software che filtri quelli indesiderati. Importantissimo resta sempre parlare con i figli dei rischi legati al gioco».