Si andrà al voto il 24 febbraio. La decisione - quasi ufficiale - scaturisce, come è naturale, sull’asse Quirinale-Viminale, essendo il capo dello Stato intestatario costituzionalmente del decreto di scioglimento ed il ministero dell’Interno alla guida della macchina elettorale. L’accelerazione in serata, quando il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, in una pausa dei lavori in commissione alla Camera sul cosiddetto decreto "taglia firme", spiega ai giornalisti che «la macchina ha bisogno di qualche giorno in più», e rivela di aver inviato al capo dello Stato una lettera che spiega lo stato dell’arte: «Il 17 saremmo pronti - dice Cancellieri - ma con qualche difficoltà. Chiediamo qualche giorno in più, soprattutto per quel che riguarda gli elettori all’estero», spiega il ministro dell’Interno. La brevissima lettera inviata al capo dello Stato faceva riferimento proprio a questa difficoltà organizzativa, al centro fra l’altro di particolari criticità nelle precedenti consultazioni. Solo un’ora dopo la pronta risposta del Colle, con una nota ufficiale. «Il Presidente della Repubblica ha preso atto delle valutazioni sottoposte alla sua attenzione dal ministro dell’Interno circa la complessità e delicatezza degli adempimenti tecnici connessi al voto degli italiani all’estero, che inducono a ritenere la data del 24 febbraio più idonea per agevolare il compimento di tutti gli adempimenti necessari».Un comunicato da cui trapela una certa freddezza per la necessaria «presa d’atto» dopo le parole del ministro, anche se al Quirinale il caso viene sgonfiato sul nascere, anzi negato del tutto in base alla semplice considerazione che sin dal principio, dalle dimissioni annunciate di Monti, le date prese in considerazione erano due, e dunque correttamente il Viminale si è limitato a individuare la più idonea fra queste. Per ragioni tecniche senza nessuna concessione al tira e molla politico.«Ci sembra che la soluzione raggiunta per la data delle elezioni sia la migliore», dice Fabrizio Cicchitto per il Pdl, che la prende comunque come una mezza vittoria. «Noi crediamo che sia la data giusta per svolgere senza troppa fretta le elezioni, per le necessarie procedure e in relazione al voto degli italiani all’estero», stempera la tensione il segretario Angelino Alfano, dopo le polemiche legate alla par condicio non ancora in vigore e alla sovraesposizione di Silvio Berlusconi. Il Pd, dal canto suo, dopo il pressing esercitato, incassa senza particolari problemi il leggero posticipo. «Ne prendiamo atto, siamo pronti», è la frase che trapela dalla segreteria.