Il caso. Libia, fuori controllo i centri di accoglienza (o «detenzione») per migranti
Un'immagine del centro detenzione migranti di Zawiya, a 30 km da Tripoli (Ansa)
La situazione dei migranti in fuga da guerre, persecuzioni, fame, povertà che si ritrovano in Libia è, a dire poco, pessima. Come ha già scritto a più riprese Avvenire. Ed è difficile per Unione Europea e Italia aprire trattative con i libici, considerata la realtà del Paese, controllato da più poteri ma anche da gruppi legati al terrorismo, con tutti i pericoli che ne conseguono. Ecco perché anche il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, è tornato a chiedere di accelerare le trattative e di mandare avanti in modo spedito il processo di pace libico.
Attualmente risultano essere "34-35" i controversi centri di raccolta per migranti in Libia, perno attorno a cui ruota tutto il dibattito italiano ed europeo sulla strategia da seguire per arginare i flussi migranti dall'Africa. Ma "molti" di questi campi sono fuori da un reale controllo dell'esecutivo del premier Fayez Al Sarraj, perché, appunto, sono in mano a milizie semi-indipendenti con cui, è implicito, sarà arduo trattare.
Le cifre, poco note anche ai più informati, sono contenute nel testo di un bando dell'Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo che stanzia due milioni di euro per le Ong proprio per migliorare le condizioni di vita in tre di questi centri. Il dossier, sintetizzando un rapporto di quest'anno dell'Unocha, l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, conferma un quadro quasi apocalittico della situazione in Libia: sono circa 1,3 milioni le persone, inclusi sfollati interni, "rientranti nei luoghi di origine", migranti, rifugiati e richiedenti asilo, che "hanno bisogno di assistenza umanitaria". I "migranti", quelli dunque disperatamente decisi a raggiungere l'Europa e quindi a sbarcare in Italia, sono 390 mila, si avverte nel bando.
A risultare finora poco noto era il dettaglio dei numeri sui "centri migranti e rifugiati", che qualcuno chiama "di detenzione": "le stime più accurate parlano di 34-35" di cui "tra sei e otto inattivi", riferisce il testo. E preoccupa un imprecisato "molti" riferito ai centri su cui la sezione di Tripoli della "Direzione per il Combattimento dell'Immigrazione Illegale" (Dcim) "sembra avere solo un controllo nominale", "formale": "alcuni" dei 29 centri stimati attivi, viene aggiunto, "sono gestiti da milizie locali e la capacità di
effettiva sorveglianza della Dcim", è dunque "in molti casi è limitata".
Alfano: basta ritardi nel processo di pace in Libia, rischio foreign fighter
È ora di andare avanti speditamente col processo di pace coniugando le esigenze di sicurezza con il rispetto dei diritti umani. I lministro degli esteri Angelino Alfano lancia un messaggio chiaro al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sottolineando l'importanza del controllo dei confini del Paese nordafricano: perchè ora che il Daesh (Isis) sta per essere battuto sul campo in Iraq e in Siria, avverte il ministro, il rischio maggiore è quello dei foreign fighter che potrebbero tornare in Europa. E il compito di monitorare, gestire e fermare questo fenomeno non può essere lasciato solo alla Libia e all'Italia.
"Soprattutto in questo momento l'attenzione ai confini libici è un imperativo per la sicurezza ed è un compito che deve essere condiviso da tutti i principali attori della comunità internazionale", ha incalzato il titolare della Farnesina, che ha presieduto la riunione al Palazzo di Vetro. Una missione, quella di Alfano, che è servita anche per fare il punto della situazione col ministro degli esteri libico Mohamed Taher Siyala e con l'inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia Ghassan Salamè. A quest'ultimo il capo della diplomazia italiana ha ribadito la piena fiducia. "L'Italia ha devoluto tutta la sua capacità negoziale a Salamè e ha sempre
sostenuto l'idea che ci deve essere una 'reductio ad unum' dei formati negoziali", ha spiegato Alfano, lamentando come finora
ci siano stati "troppi negoziatori e pochi risultati". "E adesso che lo sforzo può dare un risultato importante non dobbiamo
fermarci".
Il messaggio di Alfano è stato di fatto recepito nella dichiarazione del Consiglio di sicurezza rilasciata alla fine della riunione: "Bisogna avviare immediatamente un dialogo costruttivo in Libia perché ulteriori ritardi costituirebbero solo un danno e altre sofferenze al popolo libico", affermano i Quindici, lanciando un appello "a tutti i libici a impegnarsi urgentemente e costruttivamente nel dialogo con uno spirito di compromesso". Del resto tutti sono d'accordo sul fatto che l'accordo politico libico rimane "l'unica strada possibile" per porre fine alla crisi nel paese. Grazie alla sua attuazione, si potrà arrivare alle elezioni e portare a buon fine la transizione politica.
"Non ci sono scorciatoie militari", è il monito di Alfano, perchè questo porterebbe solo a un riacuirsi della crisi, e inevitabilmente a ridare fiato al Daesh. Ma attenti anche, ha detto il ministro, a correre verso le elezioni senza progressi nella sicurezza e nella riconciliazione, perchè "può essere controproducente": "Le elezioni devono rimanere nell'orizzonte politico, ma votare senza fissare le regole potrebbe alimentare le tensioni"
Salamè, che ha aggiornato il Consiglio di sicurezza sullo stato dell'arte, è apparso comunque ottimista: "Dalla firma dell'accordo di Skhirat nel 2015 a Tunisi è stata la prima volta che le parti si sono viste, ed è stata raggiunta l'intesa su un'agenda su cui lavorare". Una road map su cui si spera di costruire il futuro della Libia. Perchè dall'esito della partita libica, ha ricordato Alfano, dipenderà la pace, la stabilità e la sicurezza di tutta l'area del Mediterraneo.