Attualità

Campagna. «Parole cattive, virus che uccide»

Luca Liverani giovedì 23 ottobre 2014
​​Uomini e donne in fuga dalle guerre bollati come “clandestini”. Onesti lavoratori guardati di traverso perché musulmani quindi “terroristi”. O più semplicemente “negri”. Etnìe emarginate da secoli come i rom, condannati in blocco come “ladri”. Adolescenti che non corrispondono ai cliché estetici televisivi sbeffeggiati come “ciccioni”. L’imbarbarimento della lingua comincia con la politica, rimbalza sui giornali, si diffonde come un virus tra la gente comune. E col sospetto crescono la paura, il disprezzo, la xenofobia. Ecco perché Famiglia Cristiana assieme ad Avvenire e alle 190 testate diocesane della Fisc lanciano una campagna sociale per sensibilizzare gli italiani, soprattutto i giovani, sui rischi di un uso superficiale delle parole, che può alimentare l’intolleranza e il razzismo. Patrocinata da Camera e Senato e presentata oggi a Montecitorio, la campagna “Anche le parole possono uccidere” (VAI AL SITO) con l’hashtag concept #migliorisipuò è frutto dell’agenzia Armando Testa e sarà diffusa anche in 10mila scuole, parrocchie, oratori. “Questa campagna è un forte e chiaro no alla discriminazione - spiega la presidente della Camera Laura Boldrini alla presentazione - perché le parole possono arrivare a uccidere. A volte è più facile cambiare una legge che l’uso delle parole. Sul linguaggio non si può e non si deve sorvolare perché nasconde molto altro”. Citando la Carta di Roma, il codice deontologico per i giornalisti in materia di immigrazione e asilo, Boldrini ricorda come spesso le parole sono usate impropriamente come sinonimi: clandestino, migrante, richiedente asilo, rifugiato. “Ognuna risponde a una connotazione giuridica ben chiara. Chiamare clandestino un rifugiato significa punirlo due volte, dopo che è stato vittima di un regime”. Dunque “è una campagna di civiltà che vuole far riflettere sul significato delle parole anche quando sembrano innocue, come ‘ciccione’. Sappiamo a Napoli del ragazzo vittima di un atto atroce di bullismo. Le parole possono cambiare lo stato d’animo delle persone. Sono come pietre e possono avvelenare il pozzo”. “Avvenire partecipa a questa campagna perché è la naturale prosecuzione del nostro modo di fare informazione”, spiega il direttore Marco Tarquinio. “Oggi - sottolinea - c’è bisogno di una alfabetizzazione nuova sulle parole fondamentali. Purtroppo c’è un uso pervasivo, smodato di parole che uccidono. Nella stampa quotidiana in questi anni c’è stato un processo di involgarimento e di incattivimento: che parole campeggiano sulle prima pagine dei giornali, con quale continuità e aggressività! Parole denigratorie e volgarissime sono transitate dalle intercettazioni telefoniche alle pagine dei giornali. Così si creano muri, si divide, si separa irreparabilmente”. Le quattro parole della campagna “toccano quattro nervi sensibili. Basti vedere il caso di Napoli o la categorizzazione di tutti i Rom. Uno dei mali del nostro tempo è quello di rinchiudere le persone di un gruppo sociale dentro le scatole. I giornali di ispirazione cristiana sono naturalmente con questa campagna perché stanno sempre dalla parte dei poveri e dei marginali. Dobbiamo usare le parole che costruiscono, non quelle che uccidono”. "Vogliamo che cresca una società più tollerante e meno discriminatoria - ha spiegato don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana -. Quando in Italia si torna ad urlare nelle piazze contro gli immigrati scaricando su di loro i mali della crisi e di questa società. Oggi è molto comune essere oggetto di discriminazione, non solo per gli immigrati. I rom sono considerati ladri a prescindere da qualsiasi comportamento. Non possiamo restare inerti di fronte a tante tragedie quotidiane. Vogliamo portare avanti una battaglia di civiltà che aiuti il nostro Paese ad essere migliore. Bisogna tenere a freno la lingua perché le parole sono come proiettili”. Don Bruno Cescon, vicepresidente della Fisc, sottolinea come “un linguaggio neutro non esiste. Le parole hanno sempre un significato e conducono da qualche parte. I nostri settimanali cercano di essere presenti dovunque, vicini alle famiglie. Scardinare pregiudizi e parole non è facile, a noi spetta il compito di sentirci corresponsabili di ciò che accade e aiutare ad interpretare la realtà”. Marco Testa, presidente del Gruppo Armando Testa, ha precisato: “Questa campagna può essere giudicata un po’ forte ma io spero possa entrare nell’anima della gente e far nascere dei dibattiti”.