Governo. Camere al debutto, tarda l’intesa sulle presidenze
A sera, mentre esce dalla Camera, Matteo Salvini prova a dribblare cronisti e telecamere. E a chi gli chiede se stia andando a Villa Grande, la residenza romana del Cavaliere, dove nel pomeriggio si è recata Giorgia Meloni, risponde con un sorriso: «Sto andando dalla fidanzata». Che sia vero o meno, resta il fatto che la giornata si sta per concludere senza l’atteso vertice a trois, annunciato martedì sera dalla leader di Fdi, per chiudere l’animata trattativa nel centrodestra sulle presidenze delle Camere e sulla composizione della squadra di governo. L’altro ieri, era stato proprio il segretario leghista a recarsi per primo sull’Appia antica, nella residenza di Sivio Berlusconi. Mentre la premier in pectore era rimasta a Montecitorio, a lavorare in ufficio insieme al suo staff sui dossier ritenuti più urgenti. Poi però aveva auspicato per oggi la possibilità di vedersi insieme tutti e tre. Il fatto che non sia avvenuto si può leggere come un plastico segnale di distanza fra le richieste degli alleati.
Oltre all’intesa, quasi raggiunta, sulle presidenze dei due rami del Parlamento, c’è il grosso nodo del dicastero dell’Economia, da cui dipendono anche altre caselle. Ma la sabbia nella clessidra, quantomeno per il voto sulle presidenze che partirà oggi, è ormai quasi finita. E lo spazio per veti e tatticismi sempre più esiguo. L’incontro fra i tre leader, argomenta il senatore e stratega di Fdi Giovanbattista Fazzolari, dovrà appunto servire «a delineare meglio il quadro, perché ovviamente è tutto un gioco a incastro, finché uno non ha tutte le caselle in ballo definite. Ma non perché - mette le mani avanti - ci siano criticità particolari».
Nei fatti, la giornata di ieri è scivolata sul solito doppio binario: il pragmatismo meloniano (»Non possiamo perdere tempo, la situazione dell’Italia non è facile») e la tranquillità ostentata nelle scarne esternazioni ufficiali; e, per contro, i frenetici, riservati ma finora non decisivi pourparler fra gli stati maggiori dei partiti. I pochi a rilasciare dichiarazioni, ostentano sicurezza, all’insegna del «è tutto pronto », col deputato di Fdi Fabio Rampelli incline ad apostrofare quali «capre» coloro che ipotizzano tempi lunghi, giacché l’iter per la formazione del governo ha riti e modalità scandite dalla Costituzione. Salvini - che secondo alcune fonti avrebbe avuto un incontro riservato con Meloni - ha riunito il Consiglio federale del Carroccio, vedendo poi alla Camera il collega di partito Roberto Calderoli, uno dei due “papabili” per la presidenza del Senato.
L’altro (che i rumours danno come favorito) è il “fratello d’Italia” Ignazio La Russa, che nel pomeriggio accompagna la leader Meloni a casa di Berlusconi. Se alla fine la guida di Palazzo Madama dovesse andare a Fdi, la presidenza della Camera potrebbe toccare invece alla Lega, forse a Riccardo Molinari, capogruppo uscente. Ma nulla è deciso ancora. «Tenete i cellulari accesi, la notte può portare consiglio », è l’ordine di scuderia che in serata circola fra i neo eletti del centrodestra, soprattutto fra quelli più vicini ai tre leader.
La grande trattativa resta quella sui dicasteri, con le caselle economiche e quelle di Esteri, Interno, Giustizia, Salute e Difesa ancora lungi dall’essere assegnate. La Lega rivendica il Viminale (per un esponente politico, Salvini o altri, con il piano b del prefetto Matteo Piantedosi) e un pacchetto di altri dicasteri: Infrastrutture, Affari regionali, Disabilità e Transizione ecologica (mentre sarebbe ritenuta meno cruciale l’Agricoltura). Poi c’è il nodo intricatissimo del Mef. Se infatti per il Carroccio, Giancarlo Giorgetti resta la carta su cui puntare («è un nostro ministro, ci rappresenterà e farà il bene per l’Italia», dicono i governatori leghisti), negli altri due partiti anche l’ipotesi di un tecnico autorevole (che potrebbe “rassicurare” l’Ue sulla tenuta dei conti) non viene scartata. A fine giornata, quando si capisce che il vertice non ci sarà, lo stesso Giorgetti fa trapelare il suo disappunto: «C’è ancora tempo, ma non troppo» avverte, rivolto a colleghi e alleati. Così, nella notte, la trattativa va avanti. Oggi si vedrà con quale esito.