Il caso. Contact center attivi (anche quello Inps). I lavoratori: "Dimenticati"
Lavoro in un call center
Una situazione surreale se paragonata a ciò che sta accadendo nel Paese. Per molti operatori telefonici, gli addetti dei “call” o “contact” center, Covid-19 non è (quasi) mai arrivato. C’è un’evidenza empirica, riscontrabile da qualsiasi utente, di un aumento di telefonate per offerte promozionali da parte di pay-tv e web-tv associate a gestori telefonici. D’altra parte, l’ultimo Dpcm non prevede la chiusura di questi luoghi di lavoro. “Mi scusi, ma in che condizioni lei sta lavorando?”, chiedo all’ennesima operatrice telefonica per conto terzi. Un silenzio imbarazzato, qualche parola ingarbugliata, “siamo disposti a scacchiera, stanno valutando il lavoro da casa…”, poi il sospiro: “Speriamo decidano presto”. E giù la linea, perché non è tempo di attivare offerte commerciali e nemmeno sarebbe il caso di venderle, in realtà. Ma semmai di rendere “free” qualche svago e intrattenimento ora inaccessibile a vaste parti di pubblico.
Ma ciò che lascia perplessi è la situazione in Inps, l’Istituto che ha, tra i suoi compiti, anche la tutela e la sicurezza dei lavoratori. Le note degli ultimi giorni dell’ente previdenziale parlano chiaro: “Io resto a casa, potenziamento dei servizi informativi”, scrive l’Inps sul suo sito comunicando che, in sostanza, le sedi fisiche saranno depotenziate ma “tutti i servizi informativi” saranno resi “attraverso il potenziamento dei canali telefonici e telematici e integralmente assicurati dal servizio di sportello telematico provinciale”. E nell’elencare le opzioni per parlare con l’Inps, la prima è il “Contact center nazionale attivo tutti i giorni, dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20 ed il sabato dalle 8 alle 14”.
Il servizio è reso in outsourcing dalla multinazionale Comdata. A Marcianise, nel casertano, nella sede da poco aperta lavorano circa 800 persone. Come lavorano? “A scacchiera”, dicono alcune delle operatrici, mamme con figli. È l’unica accortenza: a scacchiera. Cioè un posto sì un posto no. Niente mascherine in dotazione dall’azienda. “Le portiamo da casa. Anche il disinfettante mi porto. Hanno messo un dispenser di Amuchina all’ingresso e basta”. È sufficiente? “Dimenticano che chi inizia il turno prende la scrivania di un’altra persona. Dimenticano che usiamo bagni comuni. Dimenticano che nonostante malattie, congedi e ferie di tanti colleghi che sono spaventati, ogni giorno siamo 500-600 persone in un unico ambiente”. E proprio la situazione particolare, con tanti a casa per paura, porta anche un bel numero di teleoperatori a fare straordinari. Anche il difensore civico della Regione Campania, Giuseppe Fortunato, ha scritto al governatore De Luca per chiedere un intervento, sottolineando tra l’altro che, per la natura di questo lavoro, ci sono “quadri” che si spostano da una sede all’altra, quindi anche dalle Regioni più esposte verso quelle meno esposte.
L’ultimo Dpcm non si occupa di questa situazione, come di tanti luoghi di lavoro che per loro natura mettono le persone a strettissimo contatto. E lo smart working? Se ne discute. Ma ogni giorno perso è un giorno che rappresenta una macchia in un ente, l’Inps, che ha la tutela del lavoratore come mission principale. Tanto più che diversi tra gli impiegati Inps stanno già usufruendo di telelavoro, lavoro agile e drastica riduzione delle presenze di personale e pubblico in ufficio, mentre i teleoperatori, costantemente sulla corda e spesso sballottati da una società privata all’altra, da una commessa all’altra, restano a dare “tutte le informazioni”.
Quando si parla di telelavoro, poi, il racconto è disarmante. “Mi hanno chiesto 20 giga di connessione, schermo da 19 pollici… in pratica avere a casa un ambiente di lavoro identico a quello reale”. Strumentazioni e tecnologie non alla portata di tutti, o addirittura da comprare o di cui munirsi per sfuggire a Covid-19. Nel ping-pong che dovrebbe vedere istituzione e azienda mettersi d’accordo su un punto di buon senso, questi lavoratori ormai si affidano al decreto del governo e alla prospettiva della cassa integrazione per mettere in sicurezza, almeno pro tempore, salario e salute.
La prima a muoversi, sul fronte della tutela del lavoro, è Almaviva con una propria disposizione interna: l’azienda comunica che nelle prossime 72 ore saranno sospese tutte le attività nei propri call center sul territorio nazionale – oltre 5mila lavoratori – che non possano essere gestite attraverso smart working.