Attualità

MALTEMPO E SOLIDARIETA'. Il vescovo Milito in visita alla tendopoli di Rosarno

Domenico Marino sabato 15 dicembre 2012
​«Di fronte a realtà simili non si può restare immobili. Come Chiesa, è nostro dovere intervenire. Non abbiamo una situazione di particolare ricchezza ma diamo un segnale immediato mettendo a disposizione 10mila euro per coprire almeno in parte i 40mila necessari per una prima emergenza». Il vescovo di Oppido-Palmi, Francesco Milito, ieri ha visitato la tendopoli al confine tra Rosarno e San Ferdinando. Accanto c’è anche una baraccopoli abusiva. Ci vivono più di mille migranti, soprattutto africani, giunti nella Piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi.Dopo l’appello rivolto ai fedeli con il messaggio per l’Avvento, ieri la visita. Francesco Milito era accompagnato dal vicario generale, don Pino Demasi, e dal direttore della Caritas diocesana, Vincenzo Alappi. C’erano, inoltre, i sindaci di San Ferdinando e Rosarno, Domenico Modafferi ed Elisabetta Tripodi, e rappresentanti delle forze dell’ordine.Il vescovo ha stretto mani, guardato in faccia questo piccolo grande esercito di disperati che sopravvive in condizioni drammatiche a due passi dalle cittadine addobbate a festa. Era stato informato, ma appena entrato nella tendopoli ha capito che non c’era tempo da perdere. «Ho trovato un ambiente che ho anche difficoltà a definire - sottolinea con garbo ma franchezza - da terzo o addirittura quarto mondo. Nella preistoria si stava molto meglio, perché i nostri antenati avevano almeno le grotte per ripararsi e difendersi. Oggi siamo in un’epoca di civiltà, invece c’è da inorridire nel veder come vivono questi fratelli, ammassati in ambienti che di umano non hanno niente».Sarà la diocesi a gestire i fondi messi a disposizione attraverso la Caritas e concorderà nei dettagli come spenderli con il primo cittadino di San Ferdinando, il quale, assieme al sindaco di Rosarno, ha insistito sull’isolamento in cui si trovano e sulla necessità di affrontare l’emergenza come atto di civiltà. E il vescovo ha insistito sulla necessità di denunciare quanto sta succedendo perché «parlarne è una delle forme di carità che serve a mettere in moto le azioni di cui c’è bisogno. Molti potrebbero non sapere. Sapendo, invece, si può fare un esame di coscienza e attivarsi».