Solidarietà. Cardiochirurghi in missione da Milano al Burkina Faso
Una sala operatoria
Il Monastero Maggiore di San Maurizio e il Burkina Faso. A unirli una doppia “sacralità”: quella dello storico Chiostro Gotico fondato nel VII secolo nel cuore della Milano imperiale dalle Monache Benedettine e la missione umanitaria nel Paese africano della Onlus Safe Heart per la cura delle patologie cardiovascolari di una popolazione che non gode nemmeno della più basilare e fondamentale assistenza sanitaria. Safe Heart Onlus vuole festeggiare i dieci anni di fondazione organizzando venerdì 22 settembre (prenotazione scrivendo a associazionesafeheartonlus@gmail.com), dalle 19 alle 22 in San Maurizio (via Bernardino Luini 5), un aperitivo e una visita guidata alla chiesa, detta anche la “Cappella Sistina di Milano”.
Le offerte raccolte serviranno per organizzare la prossima trasferta “del cuore” del team di cardiochirurghi volontari coadiuvati da anestesisti, dottori della perfusione per la gestione della circolazione extracorporea, strumentisti e infermieri di sala operatoria. «Siamo tutti animati dalla voglia di aiutare persone che non hanno una sanità disponibile e che se si ammalano di una malattia cardiovascolare sono destinate a morirne perché non hanno le cure adeguate» spiega il dottor Marco Zanobini, fondatore nel 2013 insieme ai colleghi cardiochirurghi Maurizio Roberto, Alberto Pilozzi e Samer Kassem della Onlus Safe Heart.
Il loro assioma è che la salute è un diritto fondamentale e non elitario dell’uomo. Per questo la loro mission in Burkina Faso, oltre alla cura dei malati, è la formazione di un team di cardiochirurghi in grado di operare in autonomia sul posto al fine di sviluppare col tempo un sistema sanitario locale. E se da Milano i volontari italiani sono già stati diverse volte nell’ospedale della capitale Ouagadougou, a tessere le fila in loco c’è un “eroico” medico burkinabe, Adama Sawadogo.
«Se avessimo fondi sufficienti faremmo una missione al mese - dice il dottor Zanobini, cardiochirurgo al Centro cardiologico “Monzino” di Milano -, ma invece riusciamo a malapena a farne due all’anno. Ogni missione ha un costo che si aggira tra i 40 e i 50 mila euro. Qualcosa mettiamo di tasca nostra, oltre al fatto che usiamo nostre ferie e che sottraiamo tempo a moglie e figli. Abbiamo necessariamente bisogno di finanziamenti, ma il beneficio intimo e la soddisfazione che proviamo nel fare tutto ciò ci ripaga dei sacrifici».
Per organizzare una missione umanitaria di questo tipo bisogna anzitutto reperire con pazienza, e mettendoci la faccia, il costoso materiale sanitario. Ma la cardiochirurgia è molto costosa e necessita di tanti materiali. “Noi ne abbiamo recuperati di usati – racconta Zanobini - e, come si dice per i telefonini, li abbiamo rigenerati e fatti certificare dalle aziende produttrici. Per esempio, la macchina per la circolazione extra corporea che usiamo ha 35 anni. Raccogliamo risorse economiche da parte delle persone più sensibili e disponibili e con questi soldi abbiamo recuperato tanto materiale e lo abbiamo inviato con dei container”.
Naturalmente è stato dapprima individuato un ospedale che avesse, tra i vari necessari requisiti, le dimensioni giuste, la possibilità di installare monitor e il condizionamento dell’aria. E proprio nella capitale ce n’è uno e c’è la persona giusta, il dottor Adama Sawadogo, con una storia bellissima e commovente alle spalle. “Lui proviene da una zona davvero primitiva del Burkina Faso – racconta Zanobini - ed è arrivato alla laurea unicamente vincendo ogni anno borse di studio. Fino a quella che gli ha consentito di andare a praticare dapprima in Senegal e poi in Francia, dove ovviamente la cardiochirurgia è routine”.
Adama è l’unico cardiochirurgo di tutto il Burkina Faso. Tra i compiti dei volontari di Safe Heart Onlus c’è stato dunque, e c’è tuttora, anche quello di crescerlo e di formarlo, come si fa con un figlio. “Magari a volte l’intervento più complesso lo faccio io e lui assiste e collabora – spiega Zanobini -. Ma ormai da tempo le operazioni meno complesse le fa direttamente lui. Ed è bello vederlo ogni volta progredire e operare più sereno".
Lo scopo è appunto quello di creare un team locale che sappia col tempo risolvere i principali problemi di salute, in questo caso cardiologica, in modo che la gente di questo povero Paese africano non sia obbligata a cercare un ospedale all’estero, cosa che poi potrebbero fare soltanto i più ricchi. "Per tutti gli altri cardiopatici, senza un futuro progresso, che noi lottiamo per favorire, non resta che accettare inesorabilmente un fatale destino” dice amaramente Zanobini.
Il primo contatto di Safe Heart con il Paese africano nacque grazie a una collega cardiologa, Sylvia Perlangeli, che lavora attualmente a Montecarlo. Dopo un primo periodo di studio e di individuazione dell’ospedale più adatto, finalmente nel 2021 è stato così realizzato il primo intervento al cuore in Burkina Faso. Come detto, l’obiettivo di ogni missione è duplice: operare e insegnare a farlo. Ma la principale difficoltà è che i Burkina Faso non c’è un vero e proprio sistema sanitario e con la perdurante instabilità politica presente la speranza che in futuro si possano trovare le risorse per garantire almeno un minimo numero di interventi è purtroppo davvero flebile.
“Abbiamo avuto negli anni incontri con vari ministri della Salute – spiega ancora Zanobini - ma finora abbiamo solo raccolto promesse non mantenute. Se avessimo fondi sufficienti faremmo una missione al mese ma invece riusciamo a malapena a farne due all’anno. Noi siamo un’associazione non politica, non partitica, aconfessionale. L’unico requisito necessario è essere animati da spirito umanitario”.
A causa del costo elevatissimo che comporta l’organizzazione di ogni viaggio della solidarietà e della speranza in Burkina Faso, finora Safe Heart Onlus ha potuto compiere soltanto cinque missioni. L’ultima delle quali, lo scorso febbraio, Zanobini e il suo team non dimenticheranno mai. “Ero in sala operatoria, un mercoledì a mezzogiorno circa – racconta il cardiochirurgo -. A un certo punto vedo che tutti quelli che erano in sala, compresi funzionari dell’ospedale e persino il ministro della salute, si mettono a guardare uno smartphone. C’erano le incredibili immagini di una bambina che aveva un punteruolo, perpendicolarmente allo sterno, conficcato all’altezza del cuore, in un ventricolo".
Quella sorta di punteruolo, con all’altra estremità una specie di manico, è uno strumento artigianale che viene usato per separare le trecce delle bambine. E’ successo che a un certo punto il fratellino di questa bambina, forse giocando, le ha inavvertitamente premuto questo arnese sul petto colpendo proprio la zona cardiaca. Tutto questo stava accadendo a centinaia di chilometri dall’ospedale della capitale. “Con quelle immagini sotto gli occhi – continua il drammatico racconto di Zanobini -, tutti si sono messi a guardare me. Io, benché sconvolto da ciò che vedevo, ho dato subito la mia disponibilità a intervenire chiedendo che durante il trasporto quella sorta di pugnale nel cuore non venisse minimamente spostato e men che meno tolto”.
Da quel momento è partita la rocambolesca organizzazione di quell'incredibile viaggio della speranza oltretutto su strade dalla non facile percorribilità. Dopo un viaggio ai limiti dell’immaginazione, la bambina, che si chiama Nafissatu, è arrivata in ospedale alle 3 della notte. “L’incidente era successo circa alle 10.30 della mattina – dice Zanobini -, ma grazie al cielo sono riuscito a operarla e tutto è andato bene. Conservo alcune immagini che definirei molto molto forti. Conservo anche le foto di Nafissatu vestita a festa il giorno delle dimissioni dall’ospedale. Quel giorno qualcuno dall’alto ha guidato tutti quanti, me compreso. Attore e strumento”.