Umberto Bossi incalza sul federalismo. Ma allo stesso tempo apre al dialogo con chi ci sta. «Siamo abbastanza aperti con tutti quelli che non fanno muro contro le riforme», risponde in serata - prima di partire da Calalzo di Cadore alla volta di Roma - a chi gli chiede la posizione rispetto alla mano tesa nelle scorse settimane dal segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Riguardo alla posizione di Pier Ferdinando Casini, il leader del Carroccio ha ricordato che «il quoziente fa- miliare chiesto dall’Udc è già compreso nel federalismo». In mattinata, rinvigorito dalla 'cena degli ossi' con i ministri Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, il senatùr aveva esordito baldanzoso, dettando tempi accelerati per le scadenze necessarie in vista di una rapida approvazione. Velando la minaccia del voto. Tanto da far insorgere le opposizioni che, con il vicepresidente del Senato Vannino Chiti, hanno parlato di diktat al Parlamento.Cruciale è la settimana tra il 17 e il 23 gennaio. «Se si vuole andare al voto bisogna fare le cose in quel periodo, perché c’è il problema che il federalismo deve passare. Se l’ultimo decreto attuativo non passa nella Commissione Bicamerale, non possiamo portare il federalismo al Consiglio dei ministri. Ma sono convinto che passa», aveva detto Bossi. Anche se a sera aveva corretto il tiro ammettendo che in bicamerale e nella Commissione Bilancio c’è parità, tanto che nella seconda «bisognerebbe che votasse il presidente Giorgetti (Lega, ndr )». Di qui il Bossi dialogante. Che, però, su eventuali aperture con Fli e soprattutto con l’Udc, non si sbilancia, senza chiudere la porta: «Vedremo, bisogna andargli a parlare».Così come, incassato il federalismo (altrimenti alle urne) bisognerà «trattare con Berlusconi». A Roma, però; un incontro in questi giorni ad Arcore non è previsto. L’accelerazione non piace al coordinatore finiano Adolfo Urso ribatte Fli non si farà influenzare dalle «minacce» bossiane. E che sul federalismo fiscale deciderà esclusivamente in base al merito del questioni e «delle modifiche che dovranno necessariamente essere apportate». Anche il responsabile Enti locali del Pd, Davide Zoggia avverte: «Basta proclami. Quello che non hanno fatto in due anni e mezzo non riusciranno a farlo in due giorni. Ed è chiaro che se non si terrà conto, soprattutto per quanto riguarda il federalismo municipale, delle proposte del Pd non si va da nessuna parte». Sui numeri, il senatore Andrea Augello, pidellino di provenienza An, invita a distinguere tra federalismo e allargamento della maggioranza. Sul primo «bisogna costruire il più ampio consenso possibile, perché si tratta di una riforma troppo importante per il Paese». E si dice convinto che sia possibile trovare i numeri per approvarlo a gennaio «anche a prescindere dall’operazione di ampliamento della maggioranza».Ma quella della devolution è la partita su cui Bossi ha giocato tutta la sua carriera politica e certo non vuole farsela sfuggire di mano. Tanto da aver moderato i toni negli ultimi giorni sul ricorso alle urne. Ancora ieri ha garantito che non farà scherzi in occasione della mozione di sfiducia al ministro della Cultura Sandro Bondi. Non senza aver ammonito che l’unico rischio per il governo è «che la Lega punti i piedi. Ma i piedi non li puntiamo, perché con Berlusconi siamo amici». La mozione, poi è «vergognosa» e «non ha molto senso: crolla Pompei e diventa colpa di Bondi, ma se non ha i soldi?». Infine, una stoccata sul 150° dell’Unità d’Italia. Il Paese è diviso in due, sentenzia il senatùr, dunque «chi sente che è una ricorrenza positiva la festeggia, gli altri non la festeggiano». In particolare i veneti che «hanno fatto il plebiscito cinque anni dopo, nel 1866, è proprio una storia a sé».