Inchiesta. Boom di psicofarmaci, allarme giovani a Milano
Per molti il ricorso alla pillola è la soluzione ad ogni problema (Ansa)
Milano è la città che non dorme mai. Ed è purtroppo in testa a quell’indicatore di infelicità che sono gli psicofarmaci. Nelle farmacie italiane sono stati venduti in media 6.841 confezioni di psicofarmaci al mese; in quelle di Milano e provincia ben 1.700 confezioni in più al mese: per la precisione 8.504. Città e area metropolitana staccano il resto d’Italia, che peraltro si difende bene nel consumo di psicofarmaci. In Italia sono stati venduti 128 milioni di confezioni in un anno per 1,2 miliardi di fatturato il che teoricamente significa più di due confezioni a testa, neonati inclusi. Di questi 55,2 milioni sono stati fatti a Milano e area metropolitana.
Se nel resto d’Italia il trend è costante nel tempo e registra una leggera flessione, qui invece si è stabilizzata dopo un sostanziale aumento (-1,1% rispetto allo scorso anno, ma +19,8% rispetto ai due anni precedenti). Ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici, sedativo ipnotici: Milano batte Italia, e si conferma metropoli europea, in tutte le principali categorie. Tranne ad agosto, quando gli uffici sono chiusi, le farmacie lavorano meno e i milanesi non ci sono.
A Milano il prezzo degli psicofarmaci è più alto del 4,9% rispetto alle altre città. Il mercato si adegua, e domanda e offerta si rincorrono a vicenda: la percentuale di acquisto di psicofarmaci generici (più economici), qui è nettamente più alta rispetto alla media (42% contro il 35% italiano). I sedativo-ipnotici (sonniferi) rappresentano la maggioranza assoluta delle vendite di psicofarmaci e costituiscono il 58,5%, con una quota sensibilmente superiore rispetto alla media italiana. Seguono antidepressivi (28%) e antipsicotici (12,4%), entrambi con vendite stabili.
I numeri delle farmacie sono stati resi noti da New Line Ricerche di mercato, uno spin off di New Line, azienda storica nell’ambito delle soluzioni informatiche per il mondo della farmacia, che collabora con le più importanti case farmaceutiche e collabora con migliaia di farmacie facendo analisi di mercato e statistiche per il monitoraggio dei mercati. Numeri che riguardano naturalmente solo i farmaci da ricetta, senza considerare per esempio chi passa direttamente in farmacia a comprarsi un sedativo perché non riesce a dormire, cosa che naturalmente non si potrebbe fare. Quanto sia diversa la realtà è fin troppo facile verificarlo.
Nell’indagine sulla popolazione giovanile invece (Espad Italia 2016) il 9,2% degli studenti ha dichiarato di aver assunto psicofarmaci senza prescrizione medica nel corso dell’anno. Il 5,5% nell’arco di un mese, l’1,9% con frequenza (sempre senza prescrizione). Gli psicofarmaci maggiormente utilizzati dagli studenti sono i farmaci per dormire, seguiti da quelli per l’attenzione. I farmaci per l’attenzione, o simpatico-mimetici ad azione centrale, che agiscono sui neurotrasmettitori dell’adrenalina (e che costituiscono una moda e una piaga negli Stati Uniti, dove si assumono farmaci a base di anfetamine o di metilfenidato per lo studio, il lavoro, lo sport, per fare i compiti e per i lavori in casa... per qualsiasi cosa insomma) meritano un discorso a parte. Stando alle cifre sia l’Italia che Milano sono immuni dal fenomeno: le vendite costituiscono lo 0,19-0,17% del fatturato di psicofarmaci (e Milano qui è addirittura inferiore alla media nazionale). Ma a parte il fatto che il vero mercato di questi prodotti è su Internet, anche nelle farmacie (e qui torniamo ai dati ricettati) si registra una crescita del 14,5% dal 2016, e del 37,4% rispetto all’anno precedente. Stando invece al questionario Espad, le ragazze ricorrono ai tranquillanti il doppio dei ragazzi e ai farmaci per l’attenzione il quadruplo di loro. Anche nel consumo di psicofarmaci in età giovanile e senza prescrizione primeggia la Lombardia (il dato disaggregato in questo caso è regionale), insieme a tutto il Nord, più produttivo e competitivo, con percentuali di consumo tra il 10,7 e l’11,8% della popolazione giovanile. Nella stessa indagine Espad del Cnr di Pisa, il consumo di psicofarmaci senza prescrizione, in età giovanile, è considerato uno dei fattori associati positivamente a quello di sostanze stupefacenti.
«Si è indotti a pensare che qualsiasi problema possa essere affrontato con gli psicofarmaci. Il problema è che per qualsiasi questione ci si dimentica che è opportuno confrontarsi: anzitutto i famigliari, e poi con gli esperti» aggiunge Mara Tognetti, docente di politiche per la salute all’Università Milano Bicocca. «Non sono aumentati i disturbi mentali, che sono sempre il 3% circa della popolazione, si è ampliata a dismisura la casistica dei disturbi del comportamento. La depressione, ad esempio, è diagnosticata nel 2% dei casi. Il 20% che ricade sulla psichiatria è altro, e questo altro è indotto anche dal mercato» dice Scarone. Poi ci sono gli stili di vita: esistono analisi che mostrano come un’alimentazione corretta e un sufficiente livello di attività fisica abbassino rispettivamente del 16 e del 19% i casi di depressione rispetto a chi non fa niente e mangia cibo spazzatura. «La tendenza all’automedicalizzazione è un segno del nostro tempo: viviamo in una società che si autocura, che oscilla tra stimolazione e sedazione (con una prevalenza della prima), e che in fin dei conti non è mai soddisfatta di sé: magari non si sta male, ma di sicuro non si sta neanche bene. La domanda allora è: fino a che punto si tratta di un’infelicità reale, e in quanta parte è indotta da modelli e da standard inaccessibili?», si chiede Renato Bricolo, psichiatra e psicoterapeuta. In ogni rispettivo ambito si arriva sempre alla stessa conclusione: l’autoalimentazione dei disturbi. «Circa il 30 per cento dei casi trattati in ambito lavorativo sono propriamente “stress da lavoro” – sostiene Raffaele Latocca, direttore di Medicina del Lavoro all’Ospedale San Gerardo di Monza –, poi però andando a vedere di cosa si compone la parte residua di stress da lavoro, si scopre che esiste una percentuale uguale di casi, in cui una psicopatologia che non viene trattata o viene trattata in modo sbagliato inquina l’ambiente lavorativo. Il che genera costi enormi, sanitari, sociali, in giorni di lavoro perso».