I primi dati sul flusso delle domande per il «Bonus famiglia» confermano le previsioni della vigilia: la grandissima parte dei beneficiari saranno pensionati singoli e coppie senza figli. Nonostante il nome, infatti, le famiglie con prole a godere del beneficio saranno meno del 20%. Mentre, sul fronte della «Social card» dedicata ad anziani e famiglie con bambini di età inferiore ai 3 anni a bassissimo reddito, rimane un’ampia area di bisogno non coperta dall’iniziativa di sostegno. Il campione e i risultati. A elaborare le prime stime sulla distribuzione del «Bonus famiglia» è stato il Centro di assistenza fiscale delle Acli. Gli sportelli sparsi in tutt’Italia hanno raccolto (fino al 9 febbraio) oltre 110mila richieste. Un campione certo limitato, se si considera che la platea finale stimata dal governo è di 8 milioni di soggetti beneficiari (più probabilmente si arriverà tra i 6 e i 7 milioni), ma non di meno significativo. Ebbene, come si evince dalla tabella A ben il 52,20% dei richiedenti (con requisiti validi) è costituito da pensionati soli. A questi si aggiunge un 26,96% di coppie senza figli o – ma si tratta di percentuali residuali – genitori soli con un solo figlio a carico. Decisamente limitate, invece, le famiglie con figli che riescono ad avere accesso al beneficio: il 19,12% per l’esattezza. La ripartizione, come si vede sempre nella tabella A vede la famiglia di 3 componenti a quota 7,36% e poi a scendere le coppie con 2 figli al 6,48%, con 3 figli solo il 2,15%, dai 4 figli in su è appena lo 0,78%. Completano il quadro i nuclei nei quali sono presenti disabili (escluso il richiedente): 2,34% delle domande. La situazione viene solo parzialmente corretta se si guarda alle risorse destinate. Essendo l’importo del singolo bonus variabile da 200 a 1.000 euro, singoli e coppie senza figli 'incassano' il 62,81% dei fondi mentre alle famiglie con figli va il 29,25% e il 7,93% è riservato ai nuclei con disabili. I perché dello squilibrio. Come Avvenire aveva già evidenziato con due inchieste (pubblicate il 5 dicembre 2008 e l’11 gennaio 2009) a determinare lo squilibrio nei soggetti beneficiari è l’anomala parametrazione dei requisiti di reddito annuo a seconda dei componenti la famiglia, soprattutto se messa a confronto con la corrispondente soglia di povertà relativa. Il tetto massimo dei primi due scaglioni (uno e due componenti il nucleo) è stato infatti fissato rispettivamente a 15mila e a 17mila euro annui, pari circa al doppio della soglia di povertà corrispondente: 7mila euro per un singolo e 11mila per una coppia. Per contro, invece, il tetto di reddito annuo degli scaglioni successivi– quelli per le famiglie con 1, 2 bambini – sale di pochissimo e si posiziona appena al di sopra della soglia di povertà. Addirittura con 3 o 4 figli solo i nuclei con redditi già al di sotto della soglia di povertà relativa possono richiedere il bonus. La sproporzione è dunque lampante, come avevano messo in evidenza anche il Forum delle famiglie e l’Associazione famiglie italiane: del bonus possono beneficiare singoli con redditi doppi rispetto ai limiti di po- vertà, mentre le famiglie con figli devono già essere in miseria per poter avere accesso al beneficio. Carta acquisti non per tutti. Una valutazione simile si può fare anche per la cosidetta «Social card». Per ottenere la carta acquisti ricaricabile con 40 euro al mese, è infatti necessario rispettare alcuni requisiti. Le famiglie devono avere figli tra 0 e 3 anni e un reddito certificato Isee inferiore a 6mila euro di valore. Stessi parametri per gli anziani di almeno 65 anni, ai quali si applicano però come ulteriori requisiti quelli di un reddito lordo comunque inferiore a 6mila euro, comprensivi di voci accessorie (che normalmente non costituiscono reddito) come rendite di invalidità o assegni di accompagnamento. Come ha funzionato questa griglia nel filtrare le richieste? Guardando al campione del Caf delle Acli arriva qualche prima risposta. Analizzando i dati della tabella B, infatti, ci si accorge che su oltre 65mila richiedenti una buona metà è stata scartata perché superava seppur di poco il requisito dei 6mila euro di reddito. «Spesso si trattava di persone invalide, e quindi con un assegno di accompagnamento o una piccola rendita dell’Inail, oppure di anziani in possesso di un box o qualche altro piccolo bene », spiega Paolo Conti, direttore nazionale del Caf Acli. All’interno delle residue 32.902 richieste – 'valide' quanto ai limiti di reddito – appena l’11% riguarda le famiglie con figli tra 0 e 3 anni mentre per il 52% si tratta di pensionati. C’è poi una fetta piuttosto ampia, pari al 37% dei richiedenti, che non avrà diritto alla «Social card» pur avendo un reddito inferiore ai limiti dei 6mila euro. Si tratta in sostanza di famiglie con figli oltre i 3 anni oppure persone che non hanno ancora compiuto i 65 anni. Sono poveri, anche poverissimi, ma non hanno l’età per godere dei benefici. I difetti delle due operazioni. I primi dati forniscono una conferma all’emergere di alcuni limiti. Anzitutto, la mancata focalizzazione degli aiuti sulle famiglie con figli, nonostante queste siano più a rischio di povertà di altre categoria. Poi il vantaggio offerto alle convivenze rispetto alle coppie sposate, dato che le prime possono non sommare i redditi dei due genitori e comporre con i figli due nuclei come meglio credono, per ottenere due bonus. Sono decisamente penalizzati, inoltre, i disabili 'capofamiglia' che di fatto non 'contano' ai fini del bonus e gli invalidi con assegno esclusi dalla «Social card». Infine, resta una fetta di popolazione povera – che appare piuttosto ampia – non tutelata in alcun modo, spesso solo per motivi di età.