Si annuncia un nuovo
round tra Matteo Renzi e la burocrazia che passa al setaccio i provvedimenti e le coperture economiche. Stavolta l’insidia non viene dalla famigerata catena di controllo del Tesoro, né dalla Ragioneria di Stato, ma dal servizio Bilancio del Senato. E l’obiettivo è bello grosso: è il decreto che mette ottanta euro nelle tasche dei redditi medio-bassi sin dalle "buste-paga" di fine maggio.Il punto più delicato è l’intervento che porta dal 12 al 26 per cento la tassazione sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia in mano agli istituti di credito.Secondo i tecnici di Palazzo Madama, ci sarebbero profili di incostituzionalità. «Repentini mutamenti del quadro normativo – scrivono i "ragionieri" del Senato – potrebbero finire per definire la tassazione postuma di una ricchezza non più attuale, ovvero non garantire quell’esigenza di anticipata conoscenza da parte del contribuente del carico fiscale posto sulle proprie attività economiche, con conseguente possibile violazione di precetti costituzionali». Parole complicatissime, da tradurre così: le banche non sapevano che avrebbero avuto questo aggravio fiscale, dunque non hanno potuto preventivarlo nei loro bilanci. Ma è proprio ciò che accade - è doveroso ricordarlo - a tutti i cittadini che si sono ritrovati di colpo, nelle diverse manovre economiche, carichi fiscali posti anche sui redditi degli anni precedenti, in palese violazione del Codice del contribuente. Difficile dunque che l’esecutivo si fermi dinanzi a questa osservazione.Più problematico è il nodo-Irap. Perché qui si parla apertamente di una sottostima del gettito mancante a seguito della riduzione del 10 per cento della tassa sulle imprese. La relazione tecnica del governo quantifica le minori entrate in poco più di 2 miliardi. «La quantificazione – scrivono i tecnici del Senato – corrisponde all’8,3 per cento rispetto alle entrate del 2014. Tale percentuale è sensibilmente inferiore a quanto previsto dalla normativa, dato che le variazioni in riduzione vanno dal 9,52 al 10,53 per cento, a seconda del settore di attività». Insomma, lo Stato potrebbe perdere più soldi di quanto preventivato. Se i conti fossero questi, il Parlamento dovrebbe trovare altri fondi.In attesa dell’iter parlamentare, notizie positive per i conti pubblici arrivano intanto sul fronte del fabbisogno, che prosegue nel
trend di miglioramento. Grazie a maggiori incassi fiscali, tra i quali gli introiti dell’imposta di bollo sugli strumenti finanziari, dell’Iva e delle accise, ad aprile è stato pari a circa 10,1 miliardi, contro gli 11,333 miliardi di aprile 2013. Nel primo quadrimestre dell’anno il fabbisogno complessivo si è attestato a circa 41.800 milioni, con un miglioramento di circa 6.200 milioni rispetto al 2013. Fa ben sperare in particolare l’aumento dell’Iva del 6,2 per cento nei primi 4 mesi dell’anno, spiegabile con una ripresa dei consumi e forse pure col "ritorno" di parte dei debiti pagati alle imprese.