Intervista. Bonetti: «Reti di comunità per le donne lasciate sole»
La ministra per la Famiglia, Elena Bonetti
«Penso sia importante creare reti di comunità, che mettano in sinergia, a livello istituzionale, centri antiviolenza, case rifugio e sistema sanitario, per aggregare competenze acquisite e garantire un’attenzione sistemica al problema della violenza di genere». Elena Bonetti, ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, ha le idee chiare rispetto al meccanismo di lotta alla violenza sulle donne che vorrebbe e con Avvenire affronta gli aspetti più critici di un sistema ancora perfettibile, ma in costante miglioramento.
Ministra, l’associazione Di.re sostiene di aver chiesto risorse aggiuntive per l’emergenza Covid e che il governo ha invece cambiato destinazione a una parte delle risorse già previste dal piano nazionale, è così?
No, abbiamo stanziato 5,5 milioni aggiuntivi rispetto ai 30 previsti dal piano. Che sono stati spostati da altri capitoli in favore della gestione dell’emergenza. C’è stato forse un fraintendimento rispetto al riparto fatto per le Regioni, che ha previsto, ma solo come possibilità ulteriore, la destinazione di una parte dei fondi per l’emergenza, a seconda delle esigenze territoriali.
Si tratta di fondi previsti per il 2019. Come mai sono arrivati così tardi?
Mi sono insediata a settembre del 2019 e il primo atto che ho fatto è provvedere al riparto dei 30 milioni che erano sul bilancio. Che, però, per natura costituzionale devono essere ripartiti in Conferenza unificata Stato-Regioni. Ma per quest’anno abbiamo voluto, come ministero, rafforzare la parte di progettualità e di monitoraggio. Perché siamo a conoscenza del fatto che non tutti fondi sono stati erogati ai centri. Abbiamo anche snellito alcuni vincoli presenti negli anni precedenti, lasciando però autonomia progettuale ai territori per poter meglio servire alle singole necessità. Ovviamente, per avere questi fondi, le Regioni devono presentare una programmazione. Ma a causa del ritardo dovuto all’emergenza, proprio su sullecitazione dei centri antiviolenza ho ritenuto di provvedere attraverso un bando straordinario, in modo che i soldi arrivassero direttamente ai centri il prima possibile. E i fondi per il 2020? Sono in discussione in Conferenza unificata. Tra l’altro è mia volontà mantenere una parte degli stanziamenti a livello ministeriale per poter promuovere azioni di sistema nazionali, altrimenti uno dei rischi è che ci sia eccessiva diversificazione tra i servizi offerti nei territori.
Non sarebbe meglio evitare il filtro regionale?
Riconosco che possa comportare problemi. Ma il tema sono le competenze costituzionali delle Regioni. Noi avevamo proposto nel 2016 una riforma che avrebbe potuto rivedere il sistema. Ma allo stato, non posso esimermi dal passare dalle Regioni.
Ma almeno, visto che alcune regioni sono più virtuose di altre, si potrebbe prevedere un meccanismo di controllo?
Ed è esattamente quello che è stato inserito nel primo decreto a mia firma. Le risorse avranno un percorso di monitoraggio con la partecipazione alla programmazione regionale del ministero e un controllo ex post, con il vincolo che chi non spende le risorse in favore dei centri sarà escluso dal piano successivo.
Passiamo all’assegno unico universale. Perché sia efficace dovrebbe essere in cifra fissa per tutti. E solo una parte variabile in base al reddito. Come intendete strutturarlo?
Sono d’accordo. Serve una stabilità e una strutturalità nel tempo, un cifra certa sulla quale poter contare e poi una parte variabile. Ho voluto personalmente insistere per introdurre l’elemento dell’universalità, perché solo in questo modo diventerà un investimento efficace di contrasto alla denatalità. Le famiglie devono sapere che ogni mese avranno una cifra fissa erogata su cui poter contare.
Secondo alcune stime mancano dai 6 ai 10 miliardi per un assegno consistente. Dove trovarli?
Queste stime fanno riferimento al regime di fiscalità oggi vigente. Ma il pacchetto politiche familiari inserito nella riforma fiscale in costruzione, anche nell’intenzione di abbassare le tasse, riconosce le famiglie come soggetto capace di offrire valore sociale . In quest’ottica gli introiti saranno maggiori e l’assegno rientrerà in un progetto sistemico più ampio in cui c’è anche la decontribuzione del lavoro femminile e di quello domestico.