Guido Bodrato è scomparso nella serata di ieri, a 90 anni. Esponente di primo piano della Democrazia cristiana, è sopravvissuto alla sua fine, che di fatto non ha mai condiviso, per quasi trent’anni, rifiutando ruoli da protagonista nelle successive vicende politiche, scegliendo negli ultimi 20 anni restare definitivamente in panchina a dispensare qualche consiglio o qualche commento.Anche attraverso lo strumento dei social che frequentava con parsimonia, ma con un discreto seguito, avendo oltre 4mila follower su Twitter. «Dedico qualche minuto al giorno, senza entrare in polemica. Più che altro commento cose dette da altri, su temi di politica, malattia da cui è difficile guarire», disse in un’intervista al nostro giornale, una delle sue ultime, il 31 dicembre del 2021.Come accade a volte in questi casi, appena un mese e mezzo è invece sopravvissuto alla scomparsa di
Irma Galli, la compagna di una vita (anche nella militanza politica, era stata anche assessore al Comune di
Chieri) che lo aveva lasciato lo scorso 21 aprile.Il distacco dalla politica è stato un processo lento, di disillusione in disillusione. C’è tanta Dc, nella sua biografia,
Carlo Donat Cattin,
Aldo Moro e
Benigno Zaccagnini i fari del suo impegno, e forse anche del suo progressivo disimpegno, da una politica in cui si riconosceva sempre meno. Nato a Monteu Roero, in provincia di Cuneo, il 27 marzo 1933, laureato in Giurisprudenza, ricercatore universitario ed esperto in materia di economia e finanza stato, fu eletto deputato una prima volta nel 1968, collezionando alla fine 7 legislature, fino al 1994, l’anno, appunto, dell’uscita di scena della Dc. All’impegno politico ha sempre portato un valore aggiunto, che gli veniva riconosciuto un po’ da tutti, di elaborazione culturale soci0-economica. Arrivato nella DC attraverso la corrente “sindacale” di Forze nuove del suo conterraneo Carlo Donat Cattin, fu poi stretto collaboratore di Benigno Zaccagnini e fondatore (insieme a Martinazzoli, Galloni, Granelli ed Elia) dell’
Area Zac. Ultimamente non si ritrovava più in nessun partito, neppure nel Pd che continuava a votare. Più volte ministro della Pubblica istruzione, poi del Bilancio, fu vicesegretario della Dc con De Mita e poi con Forlani, ai tempi in cui (nel 1990) i ministri della sinistra Dc, fra cui
Sergio Mattarella, si dimisero dal governo Andreotti in disaccordo sulla legge Mammì che intervenne sul sistema radio-tv. Rientrò al governo proprio con Andreotti, da ministro dell’Industria. Fu anche commissario della Dc a Milano durante Tangentopoli. Con l’attuale capo dello Stato aveva in comune, oltre alla collocazione politica nella geografia interna della Dc, anche l’esser stato direttore politico del
Popolo, dal 1995 al 1999, qualche anno dopo Mattarella.Ma c’è un episodio rivelatore di quel progressivo distacco dalla politica, risalente a quando Bodrato era ministro dell’Industria e commercio. A chi scrive, pochi mesi dopo quell’ultima intervista, capitò di sentirlo di nuovo in relazione all’interessante libro di
Andrea Spiri, edito da Ares (
Gli Usa & “Mani pulite”) che entra nel merito dello strano attivismo che si registrava all’ambasciata americana di via Veneto agli albori delle inchieste destinate a spazzare via i vecchi partiti.
Perché Bodrato non salì sullo Yacht Britannia
Era il 2 giugno 1992, quattro mesi prima c’era stato l’arresto di
Mario Chiesa che aveva dato il “là” a Tangentopoli, quando il
Royal Yacht Britannia, il panfilo della Regina Elisabetta, attracca a Civitavecchia per ospitare un meeting organizzato da un gruppo di finanzieri della City sul futuro economico dell’Italia. Tra i relatori, nell’ambito di questa strana “crociera di lavoro”, c’è anche l’allora direttore generale del Tesoro
Mario Draghi. Il tema sono soprattutto le privatizzazioni, teorizzate come strumento di alleggerimento del debito pubblico, in vista dell’adozione della moneta unica, nel quadro di un progressivo arretramento della politica partitica. A bordo, accettando l’invito, salgono i vertici dell’industria di Stato, dall’Eni all’Enel, dall’Iri alla Telecom, il presidente di Bankitalia
Carlo Azeglio Ciampi e, fra i politici, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta.
Ma non quello dell’Industria, appunto Guido Bodrato, che – come ci rivelò – non si sarebbe mai pentito di aver disertato l’invito, refrattario com’era, e come è sempre rimasto, al “nuovo che avanza” anche a sinistra.Lo era in nome di una
concezione “morotea” della politica che – in attuazione dell’articolo 3 della Costituzione – esclude che l’uguaglianza fra i cittadini possa scaturire d'emblée dal mero dispiegarsi dei processi economici,
senza un intervento equilibratore della mano pubblica. Bodrato descrisse in quell’ultima intervista
una politica che vedeva malata di «personalismo», che, anzi, «non c’è più, dopo che i partiti sono stati sostituiti dai social». Se ne teneva quindi piuttosto distante, da ormai bisnonno (12 nipoti e un pronipote): «Il suffragio universale – disse - è difficile da tenere in piedi senza delle vere forze politiche, con delle regole condivise, una cultura e un programma. Ci si è illusi che la soluzione fosse la personalizzazione della politica, poi questa ha aperto la strada al populismo.
Andare al voto senza confronto, certo, è meglio della dittatura, ma non si può parlare di vera democrazia. La democrazia non è solo la legge dei numeri».