Attualità

Intervista. Povertà, bocciati dalla Ue. Giovannini non ci sta

Francesco Riccardi giovedì 30 gennaio 2014

Lotta alla povertà, pensioni minime inadeguate e sicurezza sul posto di lavoro: questi i tre fronti principali sui quali l’Italia non è riuscita a mettere in atto politiche in grado di garantire condizioni di vita dignitose. A esprimere l’impietoso giudizio è il rapporto del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa reso noto ieri.Le principali violazioni dei principi della Carta sociale si riferiscono all’inadeguatezza delle politiche messe in atto per gli anziani, per combattere l’esclusione sociale e per la tutela dagli incidenti sul lavoro. Secondo il Comitato, infatti, l’Italia non ha leggi specifiche che assicurino agli anziani di non essere discriminati, a causa della loro età. Soprattutto viene giudicato «inadeguato» da Strasburgo il livello minimo dell’assegno di pensione, visto che nel 2011 ammontava ad appena 520 euro al mese contro i 666 euro (cioè il 50% del reddito medio calcolato da Eurostat) ritenuti il minimo indispensabile dal Comitato.Ma l’Italia non riesce a garantire bene neanche i diritti dei lavoratori. Il Comitato denuncia, come già nel 2009, la mancanza di una politica nazionale coerente in materia di sicurezza, come purtroppo sembra indicare anche la frequenza degli incidenti. Questa politica andrebbe definita, attuata e riesaminata periodicamente consultando le organizzazioni patronali e sindacali. Il Consiglio d’Europa segnala infine «l’aumento della povertà nel Paese, i relativamente bassi sforzi di spesa per disoccupazione ed esclusione sociale, oltre che i moderati effetti ottenuti con i trasferimenti sociali».Non fosse tra le persone più compassate che siano mai sa­lite al governo, Enrico Giovannini probabilmente gride­rebbe 'Io non ci sto' alla pesante bocciatura venuta dal Consiglio d’Europa sulle politiche in tema di lavoro e contrasto alla povertà. E invece il ministro del Welfare per replicare si limi­ta a ripercorrere punto per punto l’azione del governo in questi difficilissimi mesi di crisi. Ministro, il Consiglio d’Europa è netto: «L’Italia non ha dimo­strato di aver adottato misure adeguate per combattere la po­vertà e l’esclusione sociale». Anzitutto occorre sottolineare che il rapporto del Consiglio pren­de in considerazione il periodo 2008-2011. Ma proprio perché eravamo consapevoli della situazione sempre più grave della povertà nel nostro Paese, questo governo ha stanziato risorse notevoli, mai così consistenti per contrastare l’esclusione so­ciale. In totale sono 800 milioni di euro, con i quali abbiamo rafforzato gli strumenti esistenti, allargato a 400mila persone la platea dei beneficiari della nuova Carta d’inclusione e soprat­tutto abbiamo introdotto la sperimentazione del Sostegno per l’inclusione attiva (Sia) che è uno strumento universale di con­trasto alla povertà, di cui il nostro Paese era privo. Inoltre ab­biamo riformato l’Isee per misurare più efficacemente le situa­zioni di bisogno, rilanciato il fondo per gli aiuti alimentari e stia­mo completando il casellario dell’assistenza per orientare me­glio gli interventi. Ma lo stesso ministero aveva calcolato in 1,5 miliardi il fabbi­sogno per un primo intervento significativo attraverso il Sia... Sì, anche se la cifra – necessaria per dimezzare la distanza dalla soglia di povertà delle persone in situazione di maggiore biso­gno – comprendeva non solo i trasferimenti monetari ma anche l’erogazione di servizi, per i quali i comuni si stanno attrezzan­do, e che in parte verranno coperti dai nuovi fondi comunitari. Ciò che voglio sottolineare è che tra stanziamenti consistenti e riforme strutturali siamo oggi nelle condizioni di far compiere al­l’Italia un netto salto di qualità nella lotta alla povertà. Sul lavoro però è allarme rosso...La crisi è stata pesantissima e per questo abbiamo concentrato gli sforzi sullo stimolo della crescita, che sola può determinare la ripresa dell’occupazione. Per il lavoro abbiamo stanziato risorse da record: 5 miliardi di euro. Per gli ammortizzatori sociali, an­zitutto, come la cassa in deroga. Senza dimenticare le politiche attive come per la Garanzia giovani e la ricollocazione dei lavo­ratori, 300 milioni solo nel Sud. Per questo ho chiesto alle Regio­ni di concordare un piano straordinario per il ricollocamento dei lavoratori in cig e dei disoccupati. A proposito di Garanzia giovani: da gennaio siamo slittati a febbraio, quando si partirà effettivamente? La Commissione europea ha dato il suo ok a gennaio e a marzo il Piano partirà. Stiamo completando gli accordi con le Regioni, che gestiranno il programma, per mettere in collegamento tutti i Centri per l’impiego e le Agenzie per il lavoro private e per defini­re le singole azioni. Ma voglio sottolineare la novità di approccio, con la 'contendibi­lità' dei giovani tra pubblico e privato e la 'premialità' che porterà ad assegnare fon­di solo a chi avrà effettivamente trovato un’occasione di lavoro o formativa a un gio­vane che non studia né lavora. Pure le pensioni minime sono state definite «inadeguate» dal Consiglio d’Europa. È un problema non nuovo. Occorre però tener conto anche de­gli interventi assistenziali offerti alle persone in condizioni di di­sagio, come i non autosufficienti, i cui fondi sono stati aumen­tati. E tra gli interventi realizzati ricordo anche il prelievo sulle pen­sioni d’oro che non serve a far cassa, ma potrà essere reinvesti­to nel sistema previdenziale, anche per le pensioni più basse.  Sì, ma si possono aumentare le pensioni mi­nime o no? L’unica possibilità è individuare altre voci di taglio della spesa pubblica o di risparmi al­l’interno del sistema previdenziale da desti­nare a questo scopo. Electrolux minaccia di andarsene e lamen­ta l’alto costo del lavoro...  Per la prima volta da anni, questo governo ha abbassato il costo del lavoro, riducendo la con­tribuzione Inail. Faccio notare che dal 2007 il livello dei salari reali si è già ridotto di oltre il 10%. Il nodo è il costo del lavoro per unità di prodotto, perché la produttività è calata, avendo limitato i licen­ziamenti. Ma non possiamo pensare di reggere la concorrenza dei Paesi emergenti solo sui costi. Servono innovazione e investimenti. Anche Fiat cambia sede, non è un campanello d’allarme? È un segnale della necessità di fare passi avanti nelle riforme. Ab­biamo già avviato il processo con il 'decreto del Fare' e con 'De­stinazione Italia', cui si aggiungerà una netta semplificazione della burocrazia sul lavoro.