Calcio. Violenze e racket di biglietti: la mafia dettava legge nelle curve di San Siro
Magliete di Inter e Milan davanti a San Siro
Ha scoperchiato il calderone di mafia, violenza e tifo organizzato a San Siro l’inchiesta della Dda di Milano. Racket dei biglietti e dei parcheggi, estorsioni pestaggi, intimidazioni agli steward e ai responsabili sicurezza dello stadio e delle società sportive, protezioni e infiltrazioni mafiose. Al centro della dell’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della procura della Repubblica di Milano, c’è il business criminale da milioni di euro equamente spartito tra il direttivo della curva dell’Inter e del Milan e con la criminalità organizzata a fare da convitato di pietra.
«Allora dietro lo stadio lo sai c… c’è un business della Madonna, è una carta d’identità un passepartout per per tutto. Cosa fanno? Dal parcheggio pigliano i servizi di pulizie… dalle pulizie la gestione dei ristoranti… dai ristoranti la curva… pigliano tutto Capisci?». È Giuseppe Caminiti, intercettato, a parlare, uno che si vantava di essersi presentato con una tanica di benzina per convincere la proprietaria di una gelateria a Milano per persuaderla a vendergli il negozio. Caminiti è l’uomo dei parcheggi a San Siro e dietro di lui c’è Giuseppe Calabrò, «‘U dutturicchiu», ora a processo, 49 anni dopo, in seguito alla riapertura del procedimento il sequestro e omicidio di Cristina Mazzotti, la 18enne sepolta viva in una buca di cemento e fatta ritrovare in una discarica dall’anonima sequestri nel Comasco l’estate del 1975. Una parte dei soldi dei parcheggi di San Siro, sarebbero stati distratti per pagare la parcella dell’avvocato di «U’ dutturicchiu. «Gli avvocati mi stanno mangiando, e io ogni volta sono stretto», si lamenta l’anziano affiliato. «Non ti preoccupare, compare, ho già capito», gli risponde il suo uomo di fiducia, staccandogli mille euro di stipendio mensili distratti dai parcheggi dello stadio, seguendo il classico schema previdenziale in vigore nella ‘ndrangheta. Caminiti e Calabrò appartengono alla vecchia scuola e tengono il basso profilo accontentandosi di una sola fetta di torta, quella dei parcheggi: «Io faccio il criminale, non l’ultrà», dice il primo dei due. Ma non tutti si accontentano nel mondo di mezzo svelato dalle indagini della squadra Mobile di Milano, guidata da Alfonso Iadevaia, e dallo Scico. «Faccio l’asso pigliatutto. Faccio un macello», questi invece sarebbe Antonio Bellocco, rampollo della cosca della cosca omonima di Rosarno. E sì che aveva avuto il mandato della famiglia «di attenersi a un comportamento senza sbavature».
Intercettato mentre parla con Marco Ferdico, fino a due settimane fa capo ultrà dell’Inter, ora nell’elenco dei 19 arrestati e 60 indagati, insieme al suo successore Renato Bosetti, Bellocco dice: «Non mi tradire altrimenti mi costringi a ammazzarti». Com’è finita è cronaca: il 4 settembre scorso Bellocco ha fatto salire sulla sua auto Marco Beretta, altro capo ultrà interista, ma non ha nemmeno fatto in tempo a fargli un discorso analogo che Beretta lo ha ucciso con venti coltellate. Da allora, un giorno sì e l’altro pure Ferdico ha postato una cronologia quotidiana di storie su Instagram in suffragio del boss di Rosarno. Beretta avrebbe fatto entrare Bellocco in curva come garanzia contro altre infiltrazioni. Una strategia che non ha funzionato. E sullo sfondo rimangono l’omicidio irrisolto di Vittorio Boiocchi, il vecchio capo ultrà interista dell’Inter, ucciso il 30 ottobre 2022, e il tentato omicidio di Enzo Anghinelli colpito con cinque proiettili al volto in un agguato in via Cadore a Milano e incredibilmente sopravvissuto. Boiocchi era un altro che non si accontentava: dai parcheggi di Caminiti e Calabrò, Gherando Zaccagno, lui staccava quattromila mensili, a titolo di «obolo per la tranquillità. «Anche ai concerti veniva giù a prendere», si lamentavano di lui. Un mese dopo l’omicidio la figlia Liliana, che ha preso in mano le redini della famiglia, incontrando al ristorante l’uomo dei parcheggi, «ivecchio amico» dello zio Vittorio, non gli ha rivolto la parola. Certamente una gestione più conflittuale quella per il predominio della curva interista: al direttivo è contestata l’associazione mafiosa, rispetto ai capi della alla curva sud che devono rispondere di semplice associazione a delinquere «Lui (Luca Lucci) è cresciuto nel Milan… però hanno fatto piazza pulita… loro. Quando c’era qualcuno che voleva fare lo scemo nella curva del Milan lo hanno seccato, l’han sparato, è vivo, ma come un vegetale», viene detto dell’uomo che sopravvisse due volte, Anghinelli, lasciando quasi trapelare una punta d’invidia.
A riprova del «patto tra tifoserie per massimizzare i profitti illeciti», come l’ha definito il procuratore di Milano, Marcello Viola, ci sarebbe stato anche un accordo verbale tra la triade Ferdico-Bellocco-Beretta e il duo Lucci-Cataldo sulla spartizione del ricavato del bagarinaggio dei biglietti della finale di Champions League a Istanbul. «Stavo pensando nella mia testolina bacata, ma se ci dovesse essere un derby di semifinale - dice Marco Ferdico a Andrea Beretta - non possiam ... potrebbe andare a parlare con quello là e dirgli, oh qualsiasi cosa succede facciamo metà per uno, se passate voi ci tirate in mezzo a noi se passiamo noi vi tiriamo in mezzo a voi conti alla mano, organizziamo tutto insieme così non esci mai perdente». Ed è sempre Ferdico che chiede all’allenatore dell’Inter Simone Inzaghi di «Intervenire con la Società, o meglio direttamente con Marotta, presidente nerazzurro, al fine di ottenere ulteriori 200 biglietti» per la finale, minacciando lo sciopero del tifo e si interessa alla compravendita di un calciatore. Da Inzaghi sarebbe arrivata «la promessa di intercedere con i vertici societari». Il racket dei biglietti in curva Nord prevedeva invece l’intimidazione di steward, responsabili sicurezza dell’Inter, e dello stadio. Tra i nomi della curva Sud, oltre a Francesco e Luca Lucci, accusati di una sorta di racket delle birre, comprate per tre euro e rivendute qa sei, il loro fedelissimo Islam Hagag, il picchiatore Alessandro Sticco detto“Shrek”, e il 41enne Christian Rosiello, coinvolto nel raid sotto casa del personal trainer dei vip Cristian Iovino, picchiato dopo una lite in una discoteca con Fedez, di cui lo stesso Rosiello è bodyguard. «Bisogna smettere di far finta di niente», ha ammonito il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo.