I numeri non sono tutto, ma aiutano a capire cosa sta accadendo, cosa accadrà e cosa è utile fare. Lo dice un demografo di fama come Gian Carlo Blangiardo, docente all’università di Milano Bicocca, responsabile del settore statistica dell’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) e gran conoscitore del pianeta immigrazione, al quale ha dedicato decine di studi e ricerche.
Cosa ci mostrano gli occhiali del demografo? Dicono che con 5 milioni di stranieri, di cui 4 milioni di regolari, siamo arrivati a livelli inimmaginabili fino a poco fa. E che se si continua con i ritmi del 2007 e 2008, che hanno registrato mezzo milione di ingressi all’anno, la popolazione straniera è destinata a raddoppiare ogni cinque anni. Con conseguenze importanti sul piano demografico, sociale e culturale, che non credo saremmo in grado di reggere.
È cambiata anche la composizione del 'pianeta immigrazione'? Più della metà proviene dall’Europa dell’Est, i romeni guidano la classifica delle nazionalità con 780mila residenti, seguiti dagli albanesi con 440mila, mentre i marocchini che fino a qualche tempo fa erano in testa ora sono al terzo posto. E in generale le provenienze africane stanno perdendo peso percentuale, anche se lo spazio che giornali e televisioni dedicano agli sbarchi sulle nostre coste induce molta gente a pensare il contrario.
In effetti la comunicazione mediatica enfatizza i fatti più clamorosi ma non sempre coglie le autentiche linee di tendenza… Proprio così. Qualche esempio? L’aumento dei nuclei familiari: ormai su tre permessi di soggiorno, uno viene rilasciato per motivi di famiglia e due per lavoro, mentre negli anni Novanta il rapporto era di uno su quattro. Un altro esempio: i minorenni sono 800mila, il 22 per cento del totale, la metà dei quali è nata qui, e quindi quando arriva a scuola ha già cominciato un processo di integrazione linguistica e culturale. E ancora, aumentano le imprese di cui è titolare uno straniero, un altro indicatore del progressivo radicamento.
Dunque, l’integrazione galoppa? I segnali positivi non mancano, ma i numeri che citavo prima (un milione di nuovi ingressi nello spazio di due anni) esigono una grande capacità di governo. E forse qualche aggiustamento di tiro per il futuro. La forte crescita, specie nelle grandi aree urbane e al Nord, ha fatto emergere una 'sindrome da accerchiamento', non sempre motivata e spesso strumentalizzata a fini politici, ma con la quale si devono fare i conti, prima che la convivenza degeneri.
Il nostro Paese sarebbe in grado di fare a meno degli immigrati sul piano economico? La loro funzionalità alle esigenze del mercato del lavoro è fuori discussione, ma questo non deve diventare un refrain che giustifica iniezioni massicce di manodopera straniera che si rivelerebbero controproducenti, anche nei confronti degli immigrati che già risiedono tra noi. Nei prossimi anni il sistema Italia perderà una grande quantità di forza lavoro, soprattutto al Sud, in conseguenza della caduta del livello di fecondità delle popolazioni meridionali. Ma la mancanza di forza lavoro non sarà necessariamente un elemento traumatico, piuttosto un’occasione di riequilibrio della situazione occupazionale, in particolare tra i giovani.
Gli stranieri salveranno l’Italia dal declino demografico? Anche in questo campo, uno sguardo ravvicinato alle tendenze che si vanno affermando mette in crisi certi luoghi comuni consolidatisi nel tempo. Nel 2006 la popolazione straniera aveva un tasso di 2,5 figli per donna, nel 2008 si è scesi a quota 2,12. Le dinamiche della fecondità delle immigrate si muovono verso il basso, e in alcune città siamo già scesi sotto i livelli di ricambio generazionale, che è di due figli per donna. In una prospettiva di medio-lungo periodo, dire che gli immigrati risolvono i problemi demografici di questo Paese vuol dire nascondere la testa sotto la sabbia.
I lavoratori stranieri sono in gran parte giovani: saranno decisivi per le sorti del sistema pensionistico? È vero che contribuiscono ad arginare la crisi della nostra previdenza, ma non possono invertire la tendenza generale all’invecchiamento della popolazione, a meno di ingressi ancora più massicci nel mercato del lavoro, che peraltro (come ho detto prima) innescherebbero conseguenze sul piano della convivenza. Insomma, l’immigrazione è utile a certe condizioni. E certamente non è la panacea di certi problemi nazionali. La funzionalità della manodopera straniera al mercato del lavoro è fuori discussione. Ma gli immigrati non sono decisivi né per arrestare il declino demografico né per il sistema pensionistico