Fine Vita. Biotestamento, ecco cosa prevede la nuova legge. E cosa non va
Ogni persona maggiorenne in previsione di una futura malattia che la renda incapace di autodeterminarsi può, attraverso le Dat, le disposizioni anticipate di trattamento, esprimere le proprie preferenze sui trattamenti sanitari, accettare o rifiutare terapie e trattamenti, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali.
Lo prevede la legge sul testamento biologico che è stata approvata dal Senato oggi, giovedì 14 dicembre, con 180 voti a favore, 71 contrari e 6 astensioni: è costituita da 8 articoli. (IL TESTO DI LEGGE).
Art. 1: Consenso informato
Art. 2: Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita
Art. 3: Minori e incapaci
Art. 4: Disposizioni anticipate di trattamento
Art. 5: Pianificazione condivisa delle cure
Art. 6: Norma transitoria
Art. 7: Clausola di invarianza finanziaria
Art. 8: Relazione alle Camere
IDRATAZIONE E NUTRIZIONE
Si tratta di uno dei principali punti critici - contenuto nell'articolo 1 della legge - riguarda la possibilità che un paziente cosciente e stabile, dunque non in una fase terminale di una malattia, e pur tuttavia bisognoso di essere idratato e nutrito per via artificiale (per esempio attraverso un sondino), possa trovare la morte in seguito alla sua scelta di sospendere nutrizione e idratazione in tal modo somministrati. O la possibilità che una tale opzione venga richiesta, per un paziente in stato di incoscienza, per volontà del fiduciario da lui stesso nominato o del tutore. Il punto di partenza è molto semplice: la legge definisce tout court (quindi sempre e comunque) come una terapia sanitaria la somministrazione di acqua e cibo per via artificiale, che come tale può essere rifiutata (Art. 1). Una posizione che non vede concorde l'intera comunità scientifica: vi sono casi - non infrequenti - in cui l'idratazione e nutrizione artificiali non sono trattamenti sanitari ma semplici atti di sostegno vitale proposti al paziente.
L'OBIEZIONE DI COSCIENZA NON C'È
In tutto questo il ruolo del medico è particolarmente sollecitato e va segnalata nel testo l'assenza di una vera "obiezione di coscienza": nei resoconti giornalistici al testo di legge si parla di "obiezione di
coscienza" ma in realtà ciò che prevede il testo è qualcosa di molto diverso, e numerose infatti sono state le critiche su questo punto. Il sanitario è tenuto, secondo la norma approvata, a "rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo" e "in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale". Quindi, poiché - come già detto - la norma considera idratazione e nutrizione artificiali sempre e comunque come trattamenti sanitari ai quali è possibile rinunciare, il medico è chiamato ad agire attivamente e a sospenderli anche nei casi in cui essi non siano configurabili come accanimento terapeutico. In pratica, è questo un punto davvero delicato, il medico è obbligato a sospendere il trattamento e dunque a portare a morte il paziente, se questa è la scelta di quest'ultimo (o del tutore o fiduciario): e infatti la norma specifica che il medico, facendo questo, è "esente da ogni responsabilità civile o penale", e il riferimento implicito sul lato penalistico è a quegli articoli del Codice penale che puniscono l'omicidio del consenziente e l'aiuto al suicidio.
La legge dunque - almeno nella sua interpretazione letterale - prevede che il medico non solo potrà, ma anche dovrà (cioè sarà obbligato a compiere l'atto della sospensione della idratazione e nutrizione che porteranno come conseguenza certa alla morte del paziente. Ed egli non potrà rifiutarsi, giacché la norma non prevede un'esplicita possibilità di obiezione di coscienza.
L'esenzione del medico da "obblighi professionali" infatti per il testo di legge si limita ai casi in cui il paziente intenda esigere "trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali": "a fronte di tali richieste - recita la norma - il medico non ha obblighi professionali". Ma si tratta di fattispecie sulle quali, in caso di conflitto fra il medico da un lato e il paziente (o il tutore o fiduciario) dall'altro, sarà chiamato a pronunciarsi il giudice.
Ebbene, in presenza di un pronunciamento del giudice di autorizzazione alla sospensione di idratazione e alimentazione (caso tutt'altro che remoto, anzi: nella cronaca italiana casi del genere sono già avvenuti), il medico non potrà più invocare nessuna delle esenzioni previste dal testo di legge, e sarà chiamato ad eseguire tale volontà nonostante le sue convinzioni contrarie. Sarà pur vero che nella pratica concreta casi simili saranno "risolti" con l'affidamento del paziente a un altro sanitario (anche della stessa struttura sanitaria) disposto ad agire conformemente alle richieste, ma è evidente che la mancanza di un'opzione di coscienza "vera", cioè fondata su un diritto soggettivo del medico, è un punto dolente.
CONSENSO INFORMATO
La legge stabilisce che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Il consenso informato tra medico e paziente è espresso in forma scritta o, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Il consenso informato può essere revocato anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento, incluse la nutrizione e l'idratazione artificiali che, viene specificato nel testo, "sono trattamenti sanitari", in quanto "somministrati su prescrizione medica di nutrienti mediante dispositivi sanitari".
ASSISTENZA PSICOLOGICA
Il medico, se il paziente rifiuta o rinuncia a trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, gli prospetta le conseguenze della decisione e le possibili alternative ed è tenuto a promuovere ogni azione di sostegno al paziente, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica.
FIDUCIARIO
Chi sottoscrive le Dat indica una persona di sua fiducia ('fiduciario) che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne, capace di intendere e di volere. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto. L'incarico del fiduciario può essere revocato. Al fiduciario è rilasciata una copia delle Dat. Nel caso in cui le Dat non contengano l'indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace le Dat mantengono efficacia in merito alle convinzioni e preferenze del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno.
REGISTRO REGIONALE DELLE DAT
Le regioni che adottano modalità telematiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono regolamentare la raccolta di copia delle Dat, compresa l'indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili.
NIENTE BOLLO E TASSE SULLE DAT
Le Dat devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o per scrittura privata consegnata dal disponente presso l'ufficio di stato civile del suo comune di residenza che provvede a inserirlo in un registro dove istituito o presso la struttura sanitaria che poi la trasmette alla regione. Le Dat tuttavia sono esenti dall'obbligo di registrazione, dall'imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa.
Le Dat possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico con l'assistenza di due testimoni in casi di emergenza e urgenza.
DAT VIDEOREGISTRATE
Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le stesse modalità sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento.
Ecco cosa non va nella legge sul biotestamento
OSPEDALI AL BIVIO
Un punto rimasto irrisolto – assai serio e ben noto ai sostenitori della legge – è quello dell’obbligo per tutte le strutture sanitarie sia pubbliche che private (e dunque incluse quelle d’ispirazione cristiana) di eseguire il dettato della legge. Non è difficile immaginare che cliniche e ospedali cattolici non ne vorranno sapere di fare o lasciar morire i pazienti affidati alle loro cure, e che dunque si troveranno nella situazione di dover venire meno a una norma troppo rigida a fronte di una libertà fondamentale. Perché non si è provveduto a una modifica?
NUTRIZIONE: TERAPIA?
I medici – e le famiglie anche più di loro – sanno che non c’è unanimità su un punto che invece la legge dà per assodato: che nutrizione e idratazione artificiali siano sempre «terapia», e che rientrando in questa categoria possano essere sospese in ogni momento su richiesta del paziente. Malgrado questa incertezza, che avrebbe suggerito l’applicazione del principio di precauzione, ora diviene legale la morte per fame e per sete di un malato non terminale, un disabile o un paziente in stato di incoscienza anche temporanea.
NESSUN DIVIETO DI EUTANASIA
La legge non parla mai di eutanasia o di suicidio assistito, e dunque è abusiva ogni interpretazione in questo senso. Ma se non consente né l’una né l’altra pratica, perché non le vieta esplicitamente? La richiesta di modificare in questo senso la legge è stata respinta sia alla Camera sia al Senato, eppure l’assenza di limiti (come la malattia terminale per sospendere la nutrizione) e di condizioni (come l’elaborazione delle Dat insieme a un medico) lascia campo libero a letture problematiche nella pratica e a ricorsi in giudizio per allargare l’ambito e il modo di applicazione delle norme. È vero che casi come dj Fabo (morto per suicidio assistito) non rientrano nella legge, ma la richiesta di sospendere la nutrizione e provocare la morte del paziente ora non può più essere respinta.
LE «DISPOSIZIONI» CHE OBBLIGANO
Malgrado ripetuti tentativi alla Camera e al Senato di introdurre il diritto all’obiezione di coscienza per i medici di fronte a richieste di atti od omissioni contrari alle loro convinzioni (un «diritto costituzionalmente fondato», come ha riconosciuto persino il Comitato nazionale per la bioetica), nella legge resta solo un riconoscimento che «a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali», di forza e tenore ben diversi. È il frutto della scelta di parlare già nel titolo della legge di «disposizioni» e non «dichiarazioni anticipate di trattamento», con il medico «tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente», esentato per questo da conseguenze civili o penali. Dunque si riconosce che potrebbe essere obbligato a mettere in atto comportamenti oggi perseguiti anche penalmente.
UN REGISTRO UNICO PER RICOSTRUIRE LE VOLONTÀ
È il punto sul quale anche i sostenitori del provvedimento hanno riconosciuto che la legge ha un difetto, senza però apportarvi correzioni. Non è stato previsto un registro nazionale delle volontà di fine vita, o almeno una struttura su base territoriale che garantisca – nel rispetto della privacy, in altri àmbiti assicurata da regole minuziose – la ricostruzione di ciò che un cittadino ha lasciato scritto. La legge, inoltre, 'sana' tutti i biotestamenti sinora raccolti dai più diversi soggetti (medici, notai, comuni...) sui moduli più disparati. In discussione è ora la certezza della volontà, dunque il centro stesso della legge. Che non doveva introdurre voci di spesa, e dunque non prevede un registro (che costa). Ma un emendamento alla Manovra varato pochi giorni fa alla Camera ha stanziato una piccola cifra: per un registro che non esiste.