Le mafie uccidono anche i
bambini e non da oggi. Non solo il piccolo Cocò, ucciso e bruciato
probabilmente per eliminare un testimone. Testimone a 3 anni, dopo aver
respirato a pochi mesi l'aria di una cella assieme alla mamma. E poi
incredibilmente affidato al nonno pregiudicato e agli arresti domiciliari.
Davvero questa piccola morte "è una sconfitta di tutti noi" come ha
detto il vescovo di Cassano all'Jonio, monsignor Nunzio Galantino. Così come
quelle di Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido da "cosa nostra", o
del piccolo Dodò colpito da una pallottola mentre giocava a pallone a Crotone o
ancora le tante giovani vittime delle faide calabresi. Uccisi da piccoli per
non averli come nemici da grandi. È purtroppo un classico della storia della
'ndrangheta. Quasi un destino segnato, o boss o ammazzato per evitare che
diventi tale. Così crescono nell'odio e nella violenza. O ne sono vittime. La
Chiesa ha più volte tentato di spezzare questo destino, accogliendo quei
giovani che volevano davvero cambiare vita e futuro, arrivando a portarli
fisicamente in altre zone d'Italia. Iniziative non sempre coronate da successo.
Bisogna insistere con "parole e comportamenti chiari sulla legalità e la
difesa della vita" sono ancora le parole del vescovo. La 'ndrangheta ha
sempre ucciso donne e bambini, ha gettato uomini tra i maiali, ha obbligato
ragazze a uccidersi con l'acido, ha sequestrato e non più restituito neanche i
corpi dei rapiti. Purtroppo non è una drammatica novità. Ma alcuni anticorpi
stanno crescendo. Non solo parole. Ieri i giovani della cooperativa Valle del
Marro che coltiva terreni confiscati hanno nuovamente affrontato in tribunale
il boss Saro Mammoliti accompagnato dall'ultimo dei suoi figli, non più di 8
anni. Tra i ragazzi della cooperativa anche parenti di mafiosi. Scelte diverse,
perché è possibile anche nella Calabria sgomenta per il dramma del piccolo Cocò.