Nato. Draghi "accelera" su armi e uomini. Ottomila soldati e un nuovo decreto
Draghi al vertice Nato
Nella migliore tradizione italiana, la presenza dei presidenti del Consiglio ai vertici internazionali è accompagnata da annunci di crisi a Roma. Non fa eccezione Mario Draghi, che nel primo pomeriggio convoca la stampa all’interno della Fiera di Madrid soprattutto per affrontare le vicende italiane, così delicate da richiedere la partenza anticipata, questa sera, per Roma. Ma di risposte, anche sul Consiglio Nato che si chiude domani, il premier deve darne. Sulle nuove presenze Usa in Italia. E sulla "misura" del contributo italiano all’Alleanza.
Stoltenberg, Biden e Johnson al vertice Nato - Ansa
L’agenda italiana è segnata, infatti, dagli annunci americani. Arrivando alla sede del vertice, Biden legge la “lista” del nuovo impegno statunitense in Europa: oltre ai 20mila uomini già inviati dopo l’invasione russa, che ha portato il totale a 100.000, da Washington arrivano due nuovi incrociatori in Spagna (passano da quattro a sei), un «quartier generale permanente» in Polonia, un «irrobustimento dell’interoperabilità» sul fianco orientale, una «brigata di rotazione addizionale» da 5mila unità in Romania, un rafforzamento delle truppe nei Baltici, «due squadroni» aggiuntivi di F-35 nel Regno Unito e infine, il punto che chiama in causa Roma, il «dislocamento di difese aeree aggiuntive» e di «altre capacità» in Germania e Italia. Poche ore dopo, Pentagono e Nato precisano: gli Usa invieranno in Italia una batteria di difesa aerea a corto raggio che impiegherà circa 65-70 militari. Così Draghi, ai cronisti, può spiegare che l’operazione «viene descritta dalla Difesa come un assestamento già in programma». Quanto al sistema di difesa aerea, i dettagli non ci sono ma potrebbe trattarsi dei missili terra-aria Nasams per la protezione della base di Aviano.
Non è l’unico aspetto delicato della giornata. C’è il tema del contingente italiano di “pronta risposta”. La certezza è che tra personale già dispiegato, 2mila unità, e personale di “pronta risposta” che si prepara nelle basi, 8mila unità, la mobilitazione è di 10mila militari. Non è del tutto chiaro se si tratti di un salto di qualità o della conferma di quanto già previsto. Draghi spiega: «È stata fatta un po’ di fatica per arrivare a 10mila uomini. Noi abbiamo il comando in Bulgaria, aiutiamo la Romania e c’è un pattugliamento aereo dei Baltici in corso già da mesi. In Bulgaria e Ungheria saranno mandati 2mila soldati, 8mila sono invece di stanza in Italia, pronti eventualmente fosse necessario».
E qui c’è un punto-chiave, sul quale però il premier vuole rassicurare. C’è una escalation? «Non c’è questo rischio – risponde Draghi – ma bisogna essere pronti». Dal summit spagnolo arrivano inoltre le ultime indicazioni per il nuovo invio di armi – il quarto – che forse la prossima settimana sarà formalizzato nel decreto interministeriale. La lista resta “top secret” ma è possibile che ci siano armamenti a più lunga gittata. Sono ore in cui i generali stanno facendo le ultime valutazioni, soprattutto sul rischio di svuotare troppo i “magazzini” italiani.
Si parla, in aggiunta alle precedenti forniture, dei cingolati Pzh 2000 (a proposito, caso singolare, tre Pzh, secondo le autorità non diretti in Ucraina ma in Germania per esercitazioni, sono stati fermati ieri dalla Stradale nel salernitano perché le carte dei rimorchi non erano in regola), dei lanciarazzi multipli Mlrs (la cui gittata sale sino a 80 km, potrebbero quindi essere considerati da pezzi di maggioranza come “offensivi”), del sistema missilistico a media portata Samp-T.
Tornando a Madrid: prima di incontrare i cronisti, Draghi aveva diramato una nota sull’adesione di Svezia e Finlandia: «L’Italia afferma la sua determinazione a concorrere alle loro esigenze di difesa e sicurezza. E conferma la validità degli impegni esistenti» in Ue, ovvero il dovere di mutuo soccorso esistente all’articolo 42.7 del Trattato. Su Svezia e Finlandia torna anche dopo, Draghi: «Si arriva a una corrispondenza tra Ue e Nato» e «vengono superate molte divergenze di opinioni sulla difesa europea». Interpellato però sul “prezzo” dell’adesione di Svezia e Finlandia, ovvero la consegna dei curdi che hanno combattuto il Daesh alla Turchia del «dittatore» Erdogan (fu Draghi a definirlo in questo modo in una delle sue prime conferenze stampa da premier), il premier prima si allontana infastidito. Poi però ritorna, e risponde: «Siccome è un punto molto importante, è bene che queste domande le facciate a Svezia e Finlandia». Forse è questo un aspetto dei negoziati che a Roma non è piaciuto.