Attualità

PARTITO DEMOCRATICO. Bersani: presto il voto Ma la direzione insorge

Giovanni Grasso martedì 4 ottobre 2011

Un duro botta e risposta tra il segre­tario del Pd Pierluigi Bersani e Ar­turo Parisi sulla raccolta delle fir­me per il referendum elettorale ha carat­terizzato la direzione di ieri dei democra­tici. Ma a bene vedere, il tema centrale di­scusso nella direzione di ieri è stato quel­lo delle alleanze, con la minoranza interna decisa a ottenere maggiore apertura di cre­dito nei confronti dei moderati. Bersani, nella conferenza stampa finale, si è sbracciato a ribadire: «Noi lavoriamo ad una convergenza tra forze progressiste e moderate. Le forze del centrosinistra de­vono farsi carico di un appello largo non so­lo alle forze politiche ma anche ai movi­menti e alle associazioni. Noi chiediamo questo atteggiamento e verificheremo». Ma dentro la direzione non sono mancate voci critiche. Intanto per la questione del­le elezioni anticipate. Sono stati in molti a raccomandare a tutti, segretario in testa, di non utilizzare troppo questo argomen­to. Dal vicesegretario Letta, alcapogruppo Franceschini, a Giuseppe Fioroni, a Fran­co Marini, fino ai veltroniani. L’idea, in­somma, è che la minaccia di elezioni anti­cipate fa inevitabilmente compattare e chiudere a riccio il Pdl e i responsabili (per i quali non è affatto assicurata la rielezio­ne), mentre la proposta del governo di lar­ghe intese potrebbe in­vece incentivare l’attua­le maggioranza, o parte di essa, a chiedere le di­missioni di Berlusconi e a dare vita a una fase nuova.

Fioroni è stato e­splicito: «È ora di fare chiarezza, non possiamo dare la sensazione che alla luce del sole lavoria­mo per il governo istitu­zionale e nell’ombra per le elezioni anticipate». Veltroni ha aggiunto: «La via maestra è il go­verno di responsabilità nazionale. Metter­lo sullo stesso piano delle elezioni, vuol di­re indebolirne la prospettiva». Bersani, nella sua replica, ha però spiega­to che lui sarebbe favorevolissimo al go­verno di transizione, ma «per me al 2013 non ci si arriva. È una valutazione che fac­cio guardando allo scorrimento delle cose». Insomma, ha aggiunto, «non tutto è nelle nostre mani: esiste una sedicente maggio­ranza di governo, esistono dei ruoli istitu­zionali ben presidiati. Quel che dobbiamo fare lo stiamo facendo». E, comunque, «sia­mo pronti a prenderci le nostre responsabilità in un governo d’emergenza che lavori alle emergen­ze ». Sull’ala sinistra Nicola La­torre ha invece insistito per le elezioni subito: «So­lo un passaggio elettorale può creare le condizioni per salvare l’Italia».

Un altro argomento di confronto serrato è stata la lettera al governo italia­no della Bce. Il responsabile economico del Pd Stefano Fassina ha giudicato le ricette della Banca centrale «prima che inique, ir­realistiche », frutto di un pensiero liberista in forte crisi. Enrico Letta è insorto: «Non possiamo essere europeisti a intermitten­za. E non dobbiamo essere conservatori». D’accordo Paolo Gentiloni, che ha soste­nuto: «Se i nostri nemici diventano Draghi, Trichet e la Bce, abbiamo perso in parten­za ». Anche qui Bersani ha tentato di ricu­cire: «La nostra posizione è: nessuna criti­ca alla Bce, che ha fatto opera di supplen­za ad un governo inesistente. Però questo non significa che non si possa discutere le ricette per arrivare agli obiettivi indicati dalla Bce». Un’altra spina dalla «rosa» ra­dicale.

Antonello Giacomelli (vicino a Fran­ceschini) ha chiesto di porre fine all’al­leanza organica con i radicali che «si di­mostrano ogni giorno di più incompatibi­li con il progetto del Pd». E, infine, il duro intervento di Parisi sul re­ferendum. Ragionando per paradossi, l’ex ministro della Difesa ha sostenuto che lui e gli altri referendari avrebbero dovuto es­sere espulsi per aver firmato contro le in­dicazioni del partito, oppure che il segre­tario si sarebbe dovuto dimettere perché travolto dalla grande raccolta di firme. Ber­sani ha risposto a brutto muso: «Non ca­pisco perché invece di esaltare il contribu­to che abbiamo dato, certi dirigenti lo az­zoppino ». E ha parlato di un «Pd che non è un optional». Parisi ha però chiarito ai giornalisti che non intendeva chiedere le dimissioni di Bersani.